Quando il Ratto ancora non c'era
È una calda domenica d'inizio agosto. Sono a casa incollato con P. davanti alla tv. Mezzogiorno è scoccato da un quarto d'ora. Ho fame.
"P.?"
"Oh..."
"Non sarebbe il caso di darsi una mossa? La mensa chiude al tocco."
"Niente caserma oggi. Si pranza fuori."
"Fuori dove?"
"Novara."
"Novara un par di zeri! Non ho voglia di macinar chilometri. E poi come lo rimedi il desinare? I ristoranti son tutti chiusi."
"Non rompermi i coglioni!"
"Non romperli tu a me!"
Segue l'ennesimo alterco della mattina. Lo vince lui tanto per cambiare.
Scesi in strada, si decide di partire colla mia Panda. La sua Arna, sempre tanto per cambiare, ha il serbatoio più secco del Sahara.
"Ancora della stessa idea?", domando a P. prima di mettere in moto.
"Sì."
Scuoto la testa e vo sulla statale. L'afa è una cappa soffocante.
Il mio compagno di baraonde è davvero un tipo strano. Mangia per tre e non ingrassa d'un grammo. "Come cazzo fai a non diventare un balenottero?", gli chiesi la prima volta che lo vidi abbuffarsi. "Barabba", mi rispose lui. "E io che ne so." È buffo sentirlo parlare. Viene da un paesello vicino "Ascoli Pigeno" nelle Marche.
Si giunge a Novara. È il deserto dei tartari: le serrande degl'esercizi pubblici sono tutte abbassate.
"P.?"
Lui mi punta addosso i suoi occhietti da tarantolato.
"Devi aver fede, fratello, tanta fede."
Vaghiamo per la città vuota. In giro non si vede nessuno. I pochi sfortunati se ne stanno tappati in casa a godersi magari il fresco dell'aria condizionata.
"Stop!", mi grida P. all'improvviso.
"Che..."
"Ferma la macchina, F.: c'è del commestibile laggiù!"
"Laggiù dove?"
"Laggiù!"
Accosto la Panda al ciglio della strada e parcheggio. Il mio amico scende dall'auto e scompare in un bar. Io lo seguo dappresso ma non sono molto convinto.
Entro nel locale e, con mia grande sorpresa, scopro che si tratta d'una specie di trattoria. L'omino dietro al banco ci fa accomodare sul retro e ci piazza a un tavolo d'angolo proprio sotto la tv. Ci sono altri tre avventori: una donna sulla sessantina e due uomini sul sudaticcio andante.
"Come cazzo ci sei riuscito?", domando a P. quando ci servono il primo.
"A far che?"
"A scovare questo posto."
Lui si stringe nelle spalle e, coll'indice, si strofina la punta del naso.
"Fiuto."
Lo fisso. S'è chinato sul piatto e ha cominciato a mangiare come un lupo famelico. Decido d'imitarlo. Il mio stomaco brontola da ieri. La vita sotto le armi è davvero una merda: ti fanno stare in stand-by dal lunedì al venerdì; poi di sabato pretendono che tu sbrighi tutto il lavoro senza neanche darti il tempo d'ingoiare un panino. Ma vaffanculo!
Il pranzo è stato molto frugale: gnocchi al pomodoro e cotoletta alla milanese con patate fritte, il tutto bagnato dalla solita birra Moretti.
"Ora che s'è desinato", chiedo al mio compare di zingarate dopo aver pagato il conto. "Dov'è che si va? Ad Arona?"
"No, Arona m'è venuta a noia. Meglio Milano."
"Cazzo, P., Milano è troppo distante. Non voglio mettermi sull'autostrada. Fa un caldo dell'eva."
Altra filosofica discussione che, tra berci e strepiti, prosegue in strada e in macchina. La rivince lui. È più testardo d'un mulo quando gli pigliano le bizze.
S'arriva nella capitale meneghina intorno alle quattro. È il mortorio come a Novara. Sono tutti al mare, ai laghi o all'Idroscalo.
In Piazza San Babila attacco bottone con due pischelle appena sbucate dalla fermata della Metro. Dette fanciulle, però, non mi si filano e se la danno subito a gambe. P. e io puzziamo di naja miles lontano un miglio. La nostra mise sullo sbracato con brio proprio non si confà a due ufficialetti in libera uscita.
Girin girello, ci s'arena davanti alla Rinascente in Corso Vittorio Emanuele. Il mio amico è perso chissà dove; io sono piuttosto scocciato.
"P.?"
"Oh..."
"Qui non si batte chiodo. Andiamocene ad Arona."
"Vacci tu se vuoi. Io resto qui e mi cerco un pò di fregna."
"E dove la trovi?"
"Al Teatrino."
"O grullo, la fica lì te la fan solo annusare."
"Non m'importa."
"Cazzo, ci siam stati mercoledì. Non t'è bastato?"
"No."
Ennesimo alterco. S'impone lui. Io sono prossimo allo sfinimento.
Giungiamo al Teatrino in tempo per lo spettacolo delle cinque. Il gestore ci riconosce. Scatta perciò lo sconto "cliente affezionato": per una poltrona in prima fila si sborsano settantacinquemila lire anziché le solite centomila. P. è al settimo cielo; io rosico amaro.
"La starlette di oggi chi è?", mi domanda lui mentr'entriamo in sala.
"Vampirella", gli rispondo io. "Una delle nuove punte di diamante della scuderia di Schicchi."
"È italiana?"
"No, francese."
"Ma quante ne sai."
Sbuffo.
"Era tutto scritto sulla locandina all'ingresso."
Ci sediamo. Le nostre poltrone sono la nove e la dieci. Guardo il resto della platea. Noto non più di venti spettatori. Tra questi, un occhialuto giapponese che sembra uscito dalle pagine d'un manga.
"Il samurai della pugnetta", mormoro.
"Che covi?", mi chiede P.
Lo fisso dritto negl'occhi. Trattengo a stento un sogghigno.
"Nulla, assolutamente nulla."
Sposto lo sguardo sui tendoni rossi del sipario. Arriccio il naso. L'aria odora di chiuso e di disinfettante. Vorrei tanto svicolare ad Arona a fare il filo alle ragazze che passeggiano sul lungo lago. Tiro un sospiro e sprofondo nella poltrona, i gomiti poggiati sui braccioli e le mani giunte sul petto. Non vedo l'ora che questa domenica finisca.
Calano le luci. Una musica assordante invade la sala. S'apre il sipario. Scorgo sul palco un lurido lettuccio circolare. Tiro un altro sospiro e affondo viepiù nella poltrona.
Compare la prima ballerina, una florida bellezza dell'Est Europa con un filo di cellulite dietro le cosce. Si spoglia piuttosto rapidamente, poi scende in platea e trascina sul palco uno dei fustacchiotti della seconda fila. Gl'afferra i calzoncini colla chiara intenzione di lasciarlo in mutande. Il tale, però, non ci sta e cerca di resistere. La coppia, così, rotola sul palco in un frenetico mulinare di gambe e braccia. Qualcuno alle mie spalle applaude divertito.
Slaccio le mani e mi riaccomodo sulla poltrona sempre più corrucciato. P. mi guarda. Io guardo lui.
"F.?"
"Eh..."
"Non è un sollazzo?"
"Certo, se ti garbano le comiche alla Groucho Marx."
"Alla che?"
Alzo gl'occhi al soffitto.
"Nulla, straparlo come al solito."
La seconda ballerina è un cioccolatino che viene dal Brasile. Ha abbondantemente superato la quarantina ed è del mestiere. S'esibisce senza passione, in modo quasi asettico. Non riceve applausi al termine del numero. Solo un paio di fischi.
Anche la terza ballerina viene dal Brasile ma è molto più giovane. Ha un fisico snello e flessuoso e due gambe che non finiscono mai. Si mette nuda e scende in platea. Il suo obiettivo è l'occhialuto giapponese. Gli si spalma addosso e lo fruga dappertutto. Il samurai è alquanto imbarazzato. Il pubblico gongola e applaude. Io sbadiglio annoiato.
Si riaccendono le luci. La musica cessa. È l'intervallo.
"Fratello?"
Mi volto. Lo sguardo di P. s'inchioda al mio.
"Icche c'è?"
"Esco un attimo. Vedo se riesco a rimediare qualche genere di conforto."
"Voglia di merenda?"
"Oh, yeah!"
"Fai un pò te, P. Io devo andare in bagno. Mi scappa."
"Ci becchiamo dopo allora."
"Sì."
Ci rizziamo dalle poltrone. Lui s'affretta verso l'uscita. Io prendo le scale e salgo in galleria dove si trova lo "00". Espleto le mie necessità e torno in platea. Mi siedo in preda allo scazzo più totale.
Riappare P. Ha con sé una lattina di coca cola e due buste di patatine Pai. S'accomoda al suo posto. Stura la lattina e apre una delle buste.
"Gradisci?", mi domanda lui sgranocchiando una patatina sull'unto forte.
"No, grazie. Mai mischiare sesso e cucina."
Gli sfugge un risolino.
"Sentilo il signorsotuttoio!"
Le luci calano di nuovo. Lo show riprende col solito contorno musicale. Io tiro l'ennesimo sospiro.
Entra in scena la quarta ballerina, un bel pezzo di figliola che il mio compare di zingarate e io abbiamo già avuto modo d'ammirare in precedenti esibizioni. Assomiglia alla Hunziker. Per questo nel giro l'hanno soprannominata "Michelle". Si spoglia e, secondo copione, scende in platea. M'adocchia tra il pubblico. Le lancio uno dei miei sorrisi più inossidabili. S'avvicina a dove sono seduto. Mi s'incolla addosso. I suoi seni sodi e prosperosi mi carezzano più volte la bocca e la punta del naso. Non resisto. Muovo una mano. Gliel'infilo tra le cosce socchiuse. Trovo la vagina. Ha le labbra umide e gonfie. Comincio a titillarle il clitoride, poi la penetro con un dito viepiù in profondità.
"Porco", mi sussurra Michelle accostando la bocca al mio orecchio.
Non so cosa ribattere. Mi limito a lanciarle un altro sorriso inossidabile. P. smette di sgranocchiare le sue patatine e mi fissa. Io fisso lui e mi stringo nelle spalle. Gli scappa un rutto tonante. Il tizio sulla poltrona dietro la mia si mette a ridere. Io cerco di darmi un contegno e guardo dritto avanti a me. Vedo lo splendido sedere di Michelle allontanarsi nel buio in direzione delle quinte. Scroscia un applauso. Io sbuffo mugugnando tra i denti.
La musica cessa. Compare la conturbante Vampirella in tacchi a spillo e negligé vaporoso. Ha in mano un microfono. Tiro ancora un sospiro e guardo il soffitto. So già quello che sta per accadere. È sempre la solita solfa.
"Ciao Milano", sbraita la formidabile starlette dal palco. "Vi amo tutti!"
"Sì, certo, come no", mormoro io sottovoce.
"Mi serve un cazzo duro, ragazzi", continua a strepitare Vampirella. "Qualcuno di voi sarebbe in grado di darmene uno?"
Nessuno dei presenti s'azzarda a fare una mossa.
"Forza, ragazzi, un pò di coraggio!"
P. beve un sorso di coca cola e rutteggia di nuovo fragorosamente. Altre risa da parte del tizio sulla poltrona dietro la mia.
"Ragazzi?"
Ennesimo rutto tonante di P. Non so che mi piglia. Balzo in piedi e salgo sul palco.
"Tesoro", mi chiede la formidabile starlette appena le arrivo a portata di microfono. "Come ti chiami?"
La fisso serio in viso.
"Vittorugo." Coll'accento sulla "u", mi raccomando.
Vampirella aggrotta la fronte.
"Come?"
"Vittorugo."
Non capisce che la prendo in giro. È francese dopotutto.
"Quanti anni hai?"
"Venticinque."
"Di dove sei?"
"Firenze."
"È molto bella la tua città."
"Così dicono."
La formidabile starlette mi s'avvicina. Avverto intorno a me l'aroma pungente del suo profumo.
"Sono una donna curiosa ...Vittorugo."
Sogghigno.
"L'avevo notato."
Vampirella si fa sempre più vicina. La vista del suo ammaliante décolleté mi distrae.
"Vorrei quindi domandarti una cosa. Posso?"
"Mais oui!"
"Qual'è stato il motivo che t'ha spinto a venire fin quassù? Il tuo non è stato certo un viaggio da poco."
Mi passo una mano sui capelli tagliati corti.
"Avevo voglia, chérie."
Lei mi s'accosta ancora di più. Ho il microfono sui denti.
"Davvero?"
"Sì, tanta voglia di ...filosofeggiare." Mi rivolgo al pubblico in sala. "Una domanda, gente: chi è nato prima secondo voi? L'uovo o la gallina?"
Qualcuno in platea si mette a ridere a crepapelle. Di sicuro quel filibustiere di P.
La formidabile starlette comprende finalmente che è il caso di dare un taglio a quell'insulsa intervista. Si disfa perciò del microfono e, quando la musica torna a invadere la sala, esegue il suo numero di strip-tease ballandomi intorno. Poi mi slaccia la cintura e, dopo avermi sbottonato la camicia e la patta dei jeans, comincia a carezzarmi il petto e i gioielli di famiglia. Io avvicino la mia bocca al suo viso. Voglio leccarle le gote e morderle i lobi delle orecchie. Lei me l'impedisce con un secco gesto del braccio. Io insisto. Vampirella, allora, mi tira giù i pantaloni e s'accovaccia tra le mie gambe. Mi bacia gli slip. Sento sul prepuzio e sull'asta del pene il calore bagnato della sua lingua. Ho un'erezione piuttosto robusta. Lei se n'accorge. Si scosta da me e solleva la testa. I nostri sguardi s'incrociano. Mi sfugge un risolino beffardo.
"Cos'hai?", mi domanda sussurrando la formidabile starlette.
"Nulla, chérie. Pensavo a quant'è strana la vita e al fatto che proprio stamani mi son deciso a indossare un paio di mutande pulite. Tu credi al destino?"
Vampirella non mi degna d'una risposta. Si rizza in piedi e, presomi per mano, mi conduce al lurido lettuccio.
Cerco di nuovo di leccarle le gote. Lei s'oppone ancora una volta. Io non demordo, insisto. La formidabile starlette s'adira. M'abbassa gli slip e mi stringe i testicoli con decisione. Il dolore che provo è lancinante.
"Sta buono", sibila lei a denti stretti.
Decido d'obbedire. Ci siamo spinti troppo oltre. Se si prosegue per quella strada, v'è il rischio che ci denuncino tutt'e due per atti osceni o peggio.
Vampirella approfitta del momento di tregua. Mi fa sdraiare supino sul lurido lettuccio. Poi si mette di schiena sopra di me, le cosce bene aperte, offrendosi completamente alla vista del pubblico. Io la tengo sollevata pei fianchi. Lei ha in mano il mio birillo sempre turgido e duro che si struscia contro il monte di venere e il clitoride.
Chiudo gl'occhi. Penso a ciò che m'aspetta domattina. Alle otto, subito dopo l'alzabandiera, devo sciorinare ai ragazzi del plotone cannonieri una lezione sui componenti, l'uso e i principi di funzionamento del telemetro ottico TEM 2-A. Non so un cazzo. A Lecce, durante il corso AUC, hanno cercato d'inculcarmi tutta la tiritera. Io, però, o cascavo dal sonno o avevo la testa a Firenze alle vellutate rotondità di L. Non sono comunque preoccupato. Grazie alla parlantina di cui m'ha provvisto madre natura dovrei riuscire a cavarmela e a congegnare un ottimo discorso farcito di termini tecnici. Se poi non fossi capace di venirne a capo, potrei passare la palla al fido maresciallo C. che è un esperto della materia e uno a cui piace da matti salire in cattedra e parlarsi addosso per ore.
Tiro un profondo respiro. Apro gl'occhi. La formidabile starlette è ancora sopra di me impegnata a strofinarmisi contro. Decido d'averne le scatole piene. Comincio così a pizzicarle una natica. Lei comprende il segnale. Simula un orgasmo col suo corollario di gemiti e gridolini e pone fine a quella sciarada. La platea applaude con calore, segno che gli spettatori hanno gradito.
Vampirella e io c'alziamo dal lurido lettuccio. Siamo entrambi sudati a causa del caldo disumano prodotto dai riflettori del palco. Lei saluta il pubblico colle solite frasi di circostanza e scompare dietro le quinte. Non mi da neanche un bacino. Sono stato davvero un pessimo cliente.
"Ti sei divertito?", mi domanda P. appena scendo in platea e giungo al mio posto colla camicia e i jeans ancora sbottonati.
"No", gli rispondo io piccato.
"Perché?"
"Perché non s'è fatta leccare, ecco perché."