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I racconti qui pubblicati sono inoltre opera di fantasia. Ogni coincidenza con fatti reali e persone fisiche o giuridiche, realmente esistenti, o con enti, società, organizzazioni, gerarchie sia naturali che soprannaturali, è da ritenersi puramente causale.


lunedì 8 luglio 2013

Anche l'amore ha un prezzo

È notte alta ormai. Giro per l'Urbe cauto e guardingo, pronto a brandire il pugnale che tengo nascosto sotto la penula 1 nel fodero attaccato alla cintura. La luce della luna è oscurata da un fitto groviglio di nubi. Stento a vedere dove metto i piedi ma non rallento il passo. Niente e nessuno potrà impedirmi di tardare al nostro convegno amoroso.

Una pioggia tiepida e maleodorante mi cade addosso all'improvviso. Qualche zotico inquilino dell'insula 2 che sto costeggiando deve aver svuotato dalla finestra il contenuto del suo orinale. Maledico il dio degl'incontinenti e continuo la mia peregrinazione notturna asciugando la penula alla bell'e meglio.

Oltrepasso la mole del Circo Massimo e imbocco una strada laterale che sfocia in un vicolo cieco. Mi guardo intorno. Noto un ubriaco accasciato a terra che farfuglia parole incomprensibili, due tipi loschi intenti a spartirsi un pugno di sesterzi e una lupa 3 dalle mammelle floride che si fa chiavare appoggiata a un muro da un giovanotto particolarmente focoso.

Mi dirigo verso una delle insulae del vicolo, scosto un tendone pieno di pezze, infilo un uscio e approdo in un corridoio illuminato da cinque grosse fiaccole fissate alle pareti. Un uomo calvo e panciuto mi sbarra la strada. È Aurelio Vespillone, il ruffiano che gestisce il bordello dove sono entrato.

- Che Giove ti preservi, rottinculo d'un rottinculo - gli dico per salutarlo. - Vedo che sei sempre una vescica piena di merda.

- Tu puzzi invece di piscio peggio d'una latrina.

Ci stringiamo la mano.

- Licisca è già qui?

- Sì, la trovi nella sua cella.

Traggo da sotto la penula il mio borsellino e gli do un asse 4.

- Posso andare?

- Certo, è te che vuole stanotte.

Riappendo il borsellino alla cintura, aggiusto la penula sul petto, m'inoltro nel corridoio e raggiungo una porta chiusa su cui qualche buontempone ha graffiato questa scritta a lettere cubitali: HIC ME TENET DISTILLATIO 5. Scuoto la testa, prendo un bel respiro e busso.

- Chi è? - chiedi da dietro i battenti.

- Io - rispondo - il re dei bassifondi.

- Entra.

Spalanco l'uscio, irrompo nell'alcova e ne scruto l'interno appena rischiarato dal lume fioco d'una lucerna. Noto dapprima Gòngila, l'ancella che t'ha scortato fin lì, e poi te. Sei avvolta in un peplo aderente color turchese trattenuto sulle spalle da una coppia di fibule d'oro e stretto alla vita da un cordoncino di seta intrecciato. Porti i lunghi capelli corvini sciolti sulla schiena e hai le braccia nude impreziosite da due armille a forma di serpente anch'esse d'oro. Sei a piedi scalzi. Hai tolto infatti i sandali e li hai gettati sul pavimento tra la parrucca bionda e il mantello nero sotto cui ti sei celata per venire al nostro appuntamento.

- Mia delizia - ti sussurro - tu susciti l'invidia di Venere.

Mi fissi. I tuoi occhi verdi sono resi ancora più voluttosi e profondi dalla mistura d'antimonio e nerofumo con cui li hai truccati.

- Perché?

- La tua bellezza non ha eguali.

Avanzi di qualche passo e vieni a piazzarti di fronte a me. Sei così piccola che non riesci a superare l'altezza del mio petto.

- Adulatore.

- Femmina dirompente.

Sposti lo sguardo su Gòngila e le indichi la porta.

- È giunta l'ora che tu vada.

- Sì, domina 6.

L'ancella ti rivolge un inchino e scompare nel corridoio dopo aver chiuso l'uscio. Io mi sfilo la penula intrisa d'urina, la lancio a terra e rido.

- Che c'è? - domandi.

- Se l'imperatore Claudio sapesse dei tuoi amori segreti, ti farebbe strangolare da uno dei suoi liberti 7.

- Mio marito è un vecchio baggiano senz'un briciolo di spina dorsale. Quand'anche mi scoprisse a mettergli le corna, non avrebbe mai lo stomaco per impartire un ordine simile.

T'alzi sui piedi e mi cingi le braccia al collo.

- Bada a te piuttosto.

Siamo talmente vicini che ho le nari pervase dall'aroma del tuo profumo a base di sandalo e mirra.

- Tempo fa mi sono tolta il capriccio di giacere con Rufrio Crispino, il Prefetto del Pretorio 8, che è uomo gelosissimo.

Sfiori le tue labbra colle mie. Ti trattieni però dal baciarmi la bocca.

- Se gli giungesse voce dei nostri incontri, non esiterebbe un attimo a mandare uno dei suoi leccapiedi a tagliarti la coda.

- Non ho coda io.

Ti strofini tutta contro di me.

- Sì che ce l'hai e pure bella tosta.

Vorrei tuffarmi sulle tue labbra e darti un bacio ma tu fuggi lontano. Mi sciogli infatti dal tuo abbraccio, torni sui talloni e t'accoccoli tra le mie gambe chinata sulle ginocchia. Usi le mani per trarre dal perizoma che indosso sotto la tunica il mio uccello turgido e duro. Ne osservi la cappella che, gonfia e grossa, punta dritta verso di te. La prendi quindi in bocca leccando e suggendo con passione e perizia sopraffina. Questo non mi basta però. T'afferro così dietro la nuca e ti costringo a ingollarmi fino ai testicoli. Tu non batti ciglio. Continui a succhiare e a titillarmi colla lingua.

- I denti - dico - fammeli sentire.

Stringi le mascelle. Io inarco la schiena gettando indietro la testa in preda a uno spasmo e perdo la presa sulla tua nuca. Tu hai modo perciò di scivolare via e d'espellere dalla bocca il mio cazzo lucido di saliva. Ci fissiamo entrambi negl'occhi per un istante che sembra durare in eterno. Muovo poi le mani, ti prendo per le braccia, ti rimetto in piedi, calo sulle tue labbra e t'infilo la lingua tra i denti per baciarti a fondo avido e irruente. La mia foga è tale che rimani senza fiato.

- Sorcio - bisbigli quando riesci a scollarti dalla mia bocca.

Io vorrei replicare in maniera piuttosto salace ma sono così frastornato che non profferisco parola. Tu cogli allora l'attimo per appendere le tue labbra alle mie e coprirmi di baci. T'allontani quindi da me e raggiungi il letto in mattoni della cella su cui è stesa una stuoia logora e vecchia. Ti sfili poi il peplo dandomi le spalle e ti giri nuda verso di me. Hai i capezzoli luccicanti di polvere d'oro e il pube rasato e porti una catena per il corpo che t'imprigiona i seni e la schiena. Tale gioiello è costituito da quattro catene d'oro i cui terminali a testa di leone s'uniscono a due placche finemente cesellate, l'una posata davanti sul tuo sterno e l'altra dietro tra le tue scapole. La placca anteriore è la più strabiliante perché vi si trovano incastonati degli smeraldi e un cameo verde che raffigura il volto orripilante della Gorgone 9.

- Valeria Messalina - esclamo - non posso non averti!

- Dovrai pagare per questo - mi fai.

Afferro il borsellino e ti porgo cinque assi che però rifiuti.

- Il denaro non m'interessa.

- Cos'è che vuoi?

T'avvicini, incolli il tuo corpo al mio e mi carezzi l'uccello.

- La tua anima.  
_________ 

1 Mantello in uso presso l'antica Roma, con taglio a campana e cappuccio. Veniva indossato da uomini e donne, specie durante i viaggi.
2 Le insulae erano le grandi case d'affitto in cui si stipavano le famiglie meno abbienti.
3 Termine latino che indica le donne dedite al sesso mercenario.
4 Per notizie su tale moneta, v. http://www.monete-romane.com/asse.html.
5 Qui ho preso lo scolo.
6 Padrona.
7 I liberti erano gli schiavi che avevano ottenuto la manumissio, cioè l'affiancamento. Quelli provenienti dalla famiglia imperiale, all'epoca in cui si narra, erano adibiti ai compiti più vari, soprattutto nell'ambito dell'amministrazione degl'affari di stato.
8 Il Prefetto del Pretorio era il capo della cancelleria dell'imperatore e il comandante della sua guardia del corpo. 
9 S'allude qui a Medusa, la bellissima fanciulla che oltraggiò Minerva e che la dea trasformò in un mostro terribile capace d'impietrire collo sguardo qualsiasi creatura vivente.