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Questo blog contiene testi e immagini la cui fruizione è adatta esclusivamente a un pubblico adulto e consapevole.


I racconti qui pubblicati sono inoltre opera di fantasia. Ogni coincidenza con fatti reali e persone fisiche o giuridiche, realmente esistenti, o con enti, società, organizzazioni, gerarchie sia naturali che soprannaturali, è da ritenersi puramente causale.


lunedì 10 ottobre 2016

L'incontro

L'incontro era programmato da tempo. Se ripenso alle telefonate, agli sms, alle videochiamate, mio Dio, ma quanto abbiamo speso?

Tu, però, non mi lasciavi stare. "Voglio vederti, voglio incontrarti", un ritornello questo che mi hai ripetuto per mesi, senza stancarti mai.

Il mio era un "no" deciso. E tu lì a insistere, fino a sfiancarmi, fino a farmi cedere, fino a farmi dire "sì".

Ci siamo visti alla fine, nella città che tu ami profondamente, nella città che senti tua. Per me andava bene, l'idea non mi dispiaceva.

Ricordo la notte prima dell'incontro. Non riuscii a dormire, ero tormentata dai dubbi. Come sarà? Cosa mi chiederà? Se vorrà fare l'amore, gli dirò sicuramente di no. Non sono una donna facile, io.

Il mattino dopo, alle sette, ero già in piedi, agitata e fremente. Mi sono guardata allo specchio. Mi sono vista gonfia, gli occhi stanchi, quasi pallida. Ma chi se ne frega! Lui sa come sono fatta, mi ha visto al telefonino un migliaio di volte. E poi neanche lui è Richard Gere.

Ho preso un treno locale e sono andata dove dovevo. Mi sembrava che tutti sapessero ciò che stavo per fare. Ero nervosa. Io su quel treno non mi sono seduta, volevo stare in piedi e combattere la spinta della velocità. Sì!

Sono arrivata in stazione. Tu eri già sulla banchina ad attendermi.

- Ciao - mi hai detto appena sono scesa dal treno.

- Ciao - ti ho risposto io, scrutandoti da capo a piedi e studiando il tuo modo di vestire un po' troppo strambo per i miei gusti.

Ci siamo guardati a lungo, in silenzio.

- Bella, sei bella - mi hai sussurrato tu alla fine. Poi mi hai preso per mano e mi hai accompagnata alla fermata del Metrò.

- Dove andiamo? - ti ho domandato.

- Non aver paura, fidati - mi hai risposto. E io mi sono fidata, visto che avevi pensato a tutto tu.

Il viaggio in Metrò è durato un battito di ciglia.

- Vuoi che ci fermiamo in un bar? - mi hai chiesto tu quando siamo usciti in superficie.

- Sì, mi andrebbe un caffè.

Ne avevo proprio bisogno, giusto per allentare la tensione.

Dopo il bar abbiamo camminato. Poi siamo giunti dove dovevamo. Siamo entrati in un piccolo giardino con una graziosa fontanella e da lì in un hotel dove una signora bionda, forse tedesca, ci ha sorriso.

Tu le hai domandato le chiavi della camera che avevi prenotato. Lei te le ha date. Era la numero trenta al primo piano.

Mi hai portata su e hai aperto la porta della stanza. Io sono entrata, tremante. La camera era piccole e pulita, con un letto angolare sotto una grande specchiera. Sul tavolino vicino al frigobar era posato un vaso di fiori freschi nonostante fossimo a fine novembre.

Ci siamo guardati di nuovo. Ho notato che anche tu eri preda dell'imbarazzo. Sei però andato subito in bagno, ritornando in accappatoio. Poi ci sono andata io. Mi sono tolto la camicetta, gli stivali e i pantaloni, soffermandomi a lungo. Avevo paura e non certa di quello che volessi.

Alla fine mi sono decisa e sono tornata in camera. Tu eri già sul letto, nudo e coll'uccello duro. Mi sono sdraiata al tuo fianco. Ho lasciato che tu mi togliessi il reggiseno, i collant e le mutandine. Poi hai cominciato a baciarmi e a toccarmi. È stato allora che le mie paure sono scomparse, come se non fossero mai esistite. Ti ho permesso carezze sempre più ardite. A volte sfuggivo alle tue occhiate ma solo per pudore.

- Sei bella - continuavi a ripetermi. E mi stringevi a te, facendomi sentire il tuo desiderio.

Ci siamo baciati, ci siamo toccati, ci siamo sussurrati parole dolcissime. Poi mi hai chiesto se potevi entrare dentro di me.

- Sì, amore - ti ho risposto - lo voglio anch'io. E tu mi hai presa, forte e tenero al contempo.

Tre ore di passione trascorse meravigliosamente insieme!

venerdì 7 marzo 2014

Il principe del tempo gerundio

Eccomi qui inginocchiato ai tuoi piedi.

- Signora - esclamo con voce ferma e risoluta - vi desidero, vi bramo e vi pretendo!

Tu mi guardi dall'alto avvolta in uno sfavillante abito dorato.

- Voi correte troppo, principe.

- Ohibò.

Mi sollevo da terra, raddrizzo la penna che ho sul cappello e ti scruto corrugando la fronte. Vorrei finire questo raccontino in maniera degna ma sono a corto di parole. La sintassi e l'ortografia congiurano poi contro di me così come l'ispirazione che s'è involata all'improvviso.

- Principe - mi domandi - dov'è che siete adesso?

- Non saprei - ti rispondo. - Ho già un piede sulla soglia del nulla.

- Spicciatevi allora se avete intenzione d'eseguire una delle vostre solite manovre.

Avanzo d'un passo, ti cingo i fianchi colle mani avvicinando la mia bocca alla tua e ti do un bacio timido e un po' approssimato. Non era quello che volevi però. La mia sarà pure letteratura da strapazzo ma pensavi di meritare qualcosa di meglio. Ti scolli pertanto da me, prendi un bel respiro e tuffi le tue labbra sulle mie per riempirmi di baci caldi e appassionati. Io ne sono travolto sprofondando finalmente nella pace del tempo gerundio.

giovedì 30 gennaio 2014

Il colonnello e il tamburino

Scendo giù da Losna, la mia cavalla saura, e affido le briglia al maggiore Valfrè. Raggiungo quindi il tenente dai baffi sottili che si trova appostato dietro il tronco d'un albero con in mano un cannocchiale.

- Fontana - domando burbero - quali novità ci sono? Li ha avvistati finalmente?

L'ufficiale si mette sull'attenti e saluta battendo gli speroni.

- No, signor colonnello!

- Sagrestia!

Mi tolgo dal capo l'elmo da dragone e punto lo sguardo sui campi incolti che si stendono oltre il bosco di frassini, aceri e cerri dov'ho occultato due squadroni del Genova Cavalleria.

- Non è possibile che quei figli di cane si siano disciolti nel nulla.

Guardo Fontana nelle palle degl'occhi.

- Mi dia il cannocchiale.

Il tenente prende in consegna l'elmo e mi tende quanto gl'ho chiesto.

- Sento che son molto vicini.

M'incollo allo strumento ottico e comincio a esplorare l'orizzonte. Vedo proprio dinanzi a me un'enorme quercia secolare su cui è arrampicato un tamburino del nostro esercito. È un ragazzo esile e alto, dal viso bianco arrossato dal sole, che non dimostra più d'una tredicina d'anni. Ha la giubba turchino scuro tutta sbottonata e i lunghi capelli biondi al vento perché sprovvisto di chepì ed è intento a gustarsi una frugale merenda a base di pane, noci e formaggio.

- Briccone - mugugno a denti stretti.

- Signor colonnello - domanda Fontana alle mie spalle - che succede? È riuscito a scorgere il nemico?

- Non ancora.

Muovo il cannocchiale sulla destra e sposto lo sguardo dalla quercia solitaria al tratto di strada che lambisce i campi incolti. Vedo così comparire all'improvviso una folta colonna di soldati a cavallo in tunica verde e armati di sciabola e lancia.

- Eccoli, perdio!

Il tenente viene a posizionarsi accanto a me.

- Dove sono, signor colonnello?

- Laggiù sulla strada!

Chiudo il cannocchiale di scatto e lo rendo a Fontana in cambio dell'elmo che infilo di nuovo sulla testa abbassando il sottogola.

- Abbiamo contro almeno quattro squadroni del Reggimento Ulani Arciduca Carl n. 3.

- Corna di Belzebù!

- Per l'appunto, tenente, c'è toccata una bella gatta da pelare!

Torno da Valfrè e, prese dalle sue mani le briglia di Losna, salto in sella con una manovra agile e scattante.

- Maggiore - grido - allerti i capitani Oggero e Durini e faccia approntare gli squadroni al combattimento! Entro cinque minuti li voglio schierati in formazione sul limitare del bosco! Si carica a ranghi serrati e sciabole sguainate!

- Signor colonnello - farfuglia quel babbeo coll'erre moscia - mi permetto di sconsigliare un'azione simile. Siamo troppo inferiori di numero rispetto agl'austriaci.

- Valfrè, sagrestia, non mi secchi con questi dettagli da donnicciole e badi piuttosto a eseguire immediatamente gl'ordini!

- Signorsì!

Volto il capo e scorgo il sottotenente alfiere del Genova in groppa al suo cavallo baio.

- De Filippi - lo chiamo a gran voce - venga qui!

Detto ufficiale, un pivellino effeminato di neanche vent'anni discendente da una delle più muffite famiglie aristocratiche di Torino, si presenta a rapporto impegnando il pennone d'uno stendardo inguainato. È il tricolore modello Bigotti, quello collo scudo sabaudo bordato d'azzurro nella banda bianca di mezzo.

- Comandi, signor colonnello!

Traggo dalla bisaccia che ho attaccata alla sella un drappo quadrato rosso liso e consunto e glielo porgo.

- Appenda questo all'asta dello stendardo. Si va alla carica sotto le insegne di guerra della Repubblica Romana.

- Io, signor colonnello, mi rifiuto d'ottemperare a tale ordine!

De Filippi comincia a sputacchiare saliva dalla bocca in preda a un'indignazione scandalizzata.

- Codesto cencio è un abominio! Siam l'Armata Sarda noi, non una masnada di mazziniani arruffapopolo! Le ricordo poi che abbiam prestato giuramento d'imperitura fedeltà a Casa Savoia e al nostro re Carlo Alberto!

- Cosa vuole che me ne freghi!

Mi pianto sulle staffe e, dopo essermi proteso verso il pivellino, gli schiaffo in mano il drappo rosso.

- Obbedisca, perdio! Altrimenti, se avrà la ventura di sopravvivere alla battaglia che incombe, la farò trasferire nella compagnia del Genio Minatori degradato a caporale e col piccone in spalla!

De Filippi mi guarda storto.

- Lei non s'azzardi più a fissarmi in quella maniera o la piglierò a calci nel culo fino a consumarle i calzoni! Son stato chiaro?

- Sì, signor colonnello!

- Mi segua allora!

Strattono le briglia e obbligo Losna a raggiungere Oggero che in sella a un imponente cavallo nero ha già disposto a quadrato il secondo squadrone.

- Capitano - strepito - vengo ad assumere il comando dei suoi dragoni!

Tiro le briglia, arresto Losna e sollevo il capo per un istante. Il cielo sopra di me è limpido e terso com'uno specchio.

- Non crede anche lei che questo è un ottimo giorno per morire?

- Certo che sì, signor colonnello! - risponde lui ridendo.

Il pivellino che è impegnato nel cambio di stendardo a fianco a me sbianca in viso.

- De Filippi - chiedo - cos'ha? La vedo turbato.

- Oggi, signor colonnello, è il mio battesimo sul campo dell'onore.

- Non è nulla, sa, andar dal cavadenti è molto peggio.

Gl'ammollo una pacca sulla schiena.

- Lei comunque sia sempre presente a se stesso, non scordi quello che le hanno insegnato alla Scuola Militare d'Equitazione e tiri fuori i coglioni quando servirà!

Arriva di carriera Valfrè in groppa al suo normanno grigio.

- Tutto è pronto, signor colonnello!

- Benissimo.

Guardo il maggiore in faccia.

- Si porti alla testa del primo squadrone e rilevi Durini. Si parte al mio segnale.

Valfrè fa per allontanarsi. Io però lo trattengo con un'occhiata.

- Siam solo un drappello distaccato dal resto del reggimento. Passi quindi parola: non si carica al grido di "Genova" ma a quello di "Bricchetto".

- Signorsì!

Il maggiore s'invola al galoppo. Io torco il busto e scruto i dragoni che sono schierati per file dietro di me. Sui loro visi ferrei e duri non si vede nessun segno di paura. Ciò non mi cagiona meraviglia ché il Genova arruola solamente uomini di buona razza. Torno a guardare il pivellino.

- Sagrestia, De Filippi, il tempo fugge! S'affretti a scoprire lo stendardo!

Il pivellino mette via il tricolore e, infilato il pennone nell'astuccio della staffa destra, lascia che il drappo rosso garrisca al vento.

- Agl'ordini, signor colonnello!

Sfodero la sciabola e la poggio sulla spalla.

- Spall sciabl! - urlo con quanto fiato ho in corpo.

Il secondo squadrone esegue il comando mentre s'ode sulla sinistra la voce di Valfrè che impartisce lo stesso ordine. Decido così che è giunto il momento di rompere gl'indugi e stendo il braccio per puntare la sciabola avanti a me.

- Passo! 

Il primo e il secondo squadrone escono dal bosco a plotoni affiancati, dapprima lentamente, poi al trotto. Il tamburino ci guarda sorpreso dalla cima della quercia e interrompe di colpo la sua merenda. Io che ho riportato la sciabola sulla spalla gli regalo un sorriso da sotto l'elmo. Do quindi di sproni e lancio Losna al galoppo.

- Sciabl mano! - grido mulinando la sciabola in aria prima di puntarla ancora in avanti. - Caricat!

- Bricchetto! - rispondono all'unisono i duecento dragoni del drappello dopo aver incitato i cavalli alla corsa e spianato le sciabole. 

Il primo squadrone gira intorno alla quercia e, trascinato gagliardamente dal plotone di Durini, rovina addosso agl'ulani scompigliando la testa della loro colonna. Il secondo squadrone li travolge invece al centro e in coda gettandosi sulla strada a velocità pazza con me al comando. È l'inferno: uomini e cavalli vengono risucchiati in una bolgia urlante e furibonda dove non si riesce a capire più nulla.

Mi si para dinanzi all'improvviso un ufficiale austriaco che ferisco al petto con un fendente ben assestato. I quattro ulani accorsi in suo aiuto mi sono subito sopra colle lance. Io basto per tutti: uno lo sbalzo giù dalla sella e gl'altri li costringo alla fuga. Vengo però urtato da dietro. Stramazzo così a terra perdendo la sciabola chissà dove. L'austriaco che m'ha assalito vigliaccamente alle spalle cerca di farmi calpestare. Io rotolando schivo gli zoccoli del suo cavallo e, messomi in piedi, brandisco la pistola a percussione che ho appesa alla rangona. Armo il cane, prendo la mira e tiro il grilletto sparando a quella canaglia in piena faccia. 

- Signor colonnello - grida Oggero sulla destra - badi a sé!

Mollo la pistola e scatto di lato per evitare d'essere trafitto dalla lancia d'un ulano. Oggero avanza allora cavalcando verso di me e mi getta il fodero dov'è contenuta la sua sciabola di riserva. Io l'afferro al volo e, scansate altre due lance, fischio a tutti polmoni. Losna che è una cavalla ottimamente addestrata coglie il richiamo pur nel frastuono della battaglia e mi raggiunge al galoppo. Io le salto in groppa dopo essermi avvinghiato alla sella colle unghie e coi denti e sguaino la sciabola scagliando il fodero addosso a uno degl'austriaci che voleva infilzarmi com'un cappone.

Comincio di nuovo a menare fendenti ma incontro ben presto un muro impenetrabile di lance. Strattono quindi le briglia e obbligo Losna a scartare sulla sinistra. Noto che il plotone del tenente Viora, quello di scorta allo stendardo, sta per essere sospinto nei campi incalzato dappresso dalla massa soverchiante degl'ulani.

- Dragoni, a me! - urlo. - Qui nessuno ritorna indietro!

Vado alla testa del plotone e prendo il comando.

- Seguitemi in nome d'Italia! Avanti, avanti!

Il plotone rinsalda i ranghi e, accodatosi a me, piomba sugl'austriaci frantumando ogni loro resistenza. Mi graffiano più volte alle braccia, al torace e alle gambe. Io non demordo però e continuo a sciabolare anima e cuore in preda a una furia che non ha dell'umano. 

Resto d'un tratto isolato dai miei dragoni ma la torma d'ulani che ho dinanzi preferisce scappare via anziché combattere. Tiro così le briglia, fermo Losna e comincio a scrutarmi intorno. La strada e i campi limitrofi sono cosparsi di soldati buttati a terra morti o feriti. Noto però con un certo compiacimento che i cadaveri in tunica verde sono assai più numerosi di quelli in giubba turchino scuro.

Arriva di carriera Durini in groppa al suo cavallo baio chiaro e, piazzatosi avanti a me, saluta mettendosi la mano alla visiera dell'elmo.

- La vittoria è nostra, signor colonnello!

- Notizie degl'austriaci?

- Gl'ulani che l'hanno scampata fuggono in disordine verso Custoza.

Rinfodero la sciabola e lo guardo fisso.

- Dov'è Valfrè?

- Fu tra i primi a cadere, signor colonnello. 

Strofino la lingua sulle labbra. Le sento ruvide e secche.

- Devo bagnarmi l'ugola, sant'iddio!

Il capitano si leva la borraccia di legno che ha a tracolla e me la passa.

- Favorisca, signor colonnello. È di quello buono.

Tolgo il tappo alla borraccia e, dopo averla portata alla bocca, ingollo due lunghe sorsate.

- Un vino questo davvero degno.

Schiocco la lingua contro i denti.

- Cos'è, Durini? Barbaresco?

- No, signor colonnello, nebbiolo!

- Ah, lei sì che se n'intende! 

Porto ancora la borraccia alla bocca e ingollo una terza sorsata.

- Scelga un plotone e l'assegni all'opera di seppellimento dei caduti.

Metto il tappo alla borraccia e la restituisco al capitano.

- Il resto del drappello lo voglio invece pronto alla partenza entro venti minuti. Si rientra a Goito dov'è il quartiere del reggimento.

- Signorsì! 

Do di sproni e m'allontano dalla strada puntando sul bosco. Incontro perciò De Filippi che vaga pei campi tutto impolverato coll'asta dello stendardo poggiata sulla spalla.

- Sagrestia - grido arrestando Losna dinanzi a lui - le pare questo il modo d'assolvere il suo dovere d'alfiere? Ha il piglio d'un bifolco che passeggia colla propria zappa al seguito!

Il pivellino pianta il pennone accanto a sé e s'impala sull'attenti. Ha lo sguardo stralunato e l'elmo pieno d'ammaccature.

- Il mio cavallo, Tampon, non è più con noi, signor colonnello. A farne scempio colle lance furon gl'austriaci quando lei assunse il comando del plotone del tenente Viora.

De Filippi ha le lacrime agl'occhi.

- Io finii disarcionato a terra e rischiai grosso ché gl'ulani mi picchiaron forte sul capo con quelle loro lance maledette. Non mi perdetti comunque d'animo e, sgusciando tra gl'austriaci com'un'anguilla, riuscii a evitare la morte e a trarre in salvo lo stendardo.

- E ora lei dove va?

- Non so, signor colonnello. È da un pezzo che giro in tondo alla ricerca d'un altro cavallo.

Scuoto la testa e tiro uno sbuffo.

- Si presenti immediatamente a rapporto da Durini. Penserà lui a rimediarle quanto le abbisogna.

- Sì, signor colonnello!

- Prima di recarsi dal capitano si sistemi l'uniforme ché sembra uno spaventapasseri e copra lo stendardo. Il combattimento è cessato ormai.

- Come comanda lei, signor colonnello! 

Do di nuovo di sproni e cavalco fino alla quercia. Smonto quindi da Losna che lascio libera di pascolare e sollevo il capo. Il tamburino è sempre acquattato tra i rami del grande albero.

- Ehi, tu - strepito - scendi!

Quel lazzarone mi getta allora in braccio un fagotto di stoffa chiuso da un nastro azzurro dove sono conservati gl'avanzi della sua merenda e, buttatosi giù, atterra ritto in piedi avanti a me. Trae poi dalla giubba sbottonata un chepì che è tutto una piega, se lo ficca in testa e si mette la mano alla visiera.

- Vedo che sei un fante - gli dico gentilmente. - Qual è il tuo reggimento?

- Il diciassettesimo Acqui - risponde lui con una vocina roca.

Gli lancio il fagotto e lo scruto per bene. Ha il viso dai lineamenti fini e delicati e un corpo morbido e flessuoso.

- Quanti anni hai?

- Quindici, quasi sedici.

- Da lontano parevi più giovane.

Il ragazzo si stringe nelle spalle e abbozza un sorriso. C'è qualcosa in lui che ancora non mi quadra.

- Ti piacque la nostra carica all'ultimo sangue?

- Non saprei, signor colonnello.

- Perché?

- Non la vidi.

Aggrotto la fronte perplesso.

- Come potevi non vedere? Eri sulla quercia e il tuo sguardo non aveva ostacoli.

- Io la guerra l'aborro profondamente, signor colonnello. Distolsi gl'occhi dalla strada di proposito.

Mi scappa da ridere.

- Un tamburino pacifista: questa è davvero bella! 

Lui s'acciglia.

- Voi altri maschi siete più feroci delle belve a volte.

Ho una folgorazione.

- Sant'iddio, tu sei una ragazza!

- Sì, signor colonnello! Non se n'era accorto?

- Cribbio, no!

Accosto il mio corpo a quello della tamburina e cerco invano d'incombere su di lei che è alta quanto me.

- Per le braghe di Jahvè, ragazza, che fai qui?

- Volevo far l'Italia ma la maniera in cui voi la volete tirar su non mi garba proprio. Troppe uccisioni, troppi massacri.

- Guarda, non c'era altro modo.

- Sì che c'era: bastava parlare al cuore degl'austriaci, convincerli colle buone.

- E il papa?

- Il papa capirà alla fine che la chiesa non avrà nulla da perdere dalla scomparsa del potere temporale.

Sta per venirmi un mal di capo terribile. Afferro perciò la tamburina per un braccio, la metto di schiena e le rifilo uno sculaccione bonario sul sedere.

- Finiamola di discutere di politica, sant'iddio, e passiamo all'azione!

Obbligo la ragazza a voltarsi di nuovo verso di me.

- Ti son rimaste delle noci nel fagotto?

- Sì, signor colonnello! - strilla lei offesa.

- Dammene qualcheduna allora, che ho un buco voraginoso nella pancia!