L'incontro
L'incontro era programmato da tempo. Se ripenso alle telefonate, agli sms, alle videochiamate, mio Dio, ma quanto abbiamo speso?
Tu, però, non mi lasciavi stare. "Voglio vederti, voglio incontrarti", un ritornello questo che mi hai ripetuto per mesi, senza stancarti mai.
Il mio era un "no" deciso. E tu lì a insistere, fino a sfiancarmi, fino a farmi cedere, fino a farmi dire "sì".
Ci siamo visti alla fine, nella città che tu ami profondamente, nella città che senti tua. Per me andava bene, l'idea non mi dispiaceva.
Ricordo la notte prima dell'incontro. Non riuscii a dormire, ero tormentata dai dubbi. Come sarà? Cosa mi chiederà? Se vorrà fare l'amore, gli dirò sicuramente di no. Non sono una donna facile, io.
Il mattino dopo, alle sette, ero già in piedi, agitata e fremente. Mi sono guardata allo specchio. Mi sono vista gonfia, gli occhi stanchi, quasi pallida. Ma chi se ne frega! Lui sa come sono fatta, mi ha visto al telefonino un migliaio di volte. E poi neanche lui è Richard Gere.
Ho preso un treno locale e sono andata dove dovevo. Mi sembrava che tutti sapessero ciò che stavo per fare. Ero nervosa. Io su quel treno non mi sono seduta, volevo stare in piedi e combattere la spinta della velocità. Sì!
Sono arrivata in stazione. Tu eri già sulla banchina ad attendermi.
- Ciao - mi hai detto appena sono scesa dal treno.
- Ciao - ti ho risposto io, scrutandoti da capo a piedi e studiando il tuo modo di vestire un po' troppo strambo per i miei gusti.
Ci siamo guardati a lungo, in silenzio.
- Bella, sei bella - mi hai sussurrato tu alla fine. Poi mi hai preso per mano e mi hai accompagnata alla fermata del Metrò.
- Dove andiamo? - ti ho domandato.
- Non aver paura, fidati - mi hai risposto. E io mi sono fidata, visto che avevi pensato a tutto tu.
Il viaggio in Metrò è durato un battito di ciglia.
- Vuoi che ci fermiamo in un bar? - mi hai chiesto tu quando siamo usciti in superficie.
- Sì, mi andrebbe un caffè.
Ne avevo proprio bisogno, giusto per allentare la tensione.
Dopo il bar abbiamo camminato. Poi siamo giunti dove dovevamo. Siamo entrati in un piccolo giardino con una graziosa fontanella e da lì in un hotel dove una signora bionda, forse tedesca, ci ha sorriso.
Tu le hai domandato le chiavi della camera che avevi prenotato. Lei te le ha date. Era la numero trenta al primo piano.
Mi hai portata su e hai aperto la porta della stanza. Io sono entrata, tremante. La camera era piccole e pulita, con un letto angolare sotto una grande specchiera. Sul tavolino vicino al frigobar era posato un vaso di fiori freschi nonostante fossimo a fine novembre.
Ci siamo guardati di nuovo. Ho notato che anche tu eri preda dell'imbarazzo. Sei però andato subito in bagno, ritornando in accappatoio. Poi ci sono andata io. Mi sono tolto la camicetta, gli stivali e i pantaloni, soffermandomi a lungo. Avevo paura e non certa di quello che volessi.
Alla fine mi sono decisa e sono tornata in camera. Tu eri già sul letto, nudo e coll'uccello duro. Mi sono sdraiata al tuo fianco. Ho lasciato che tu mi togliessi il reggiseno, i collant e le mutandine. Poi hai cominciato a baciarmi e a toccarmi. È stato allora che le mie paure sono scomparse, come se non fossero mai esistite. Ti ho permesso carezze sempre più ardite. A volte sfuggivo alle tue occhiate ma solo per pudore.
- Sei bella - continuavi a ripetermi. E mi stringevi a te, facendomi sentire il tuo desiderio.
Ci siamo baciati, ci siamo toccati, ci siamo sussurrati parole dolcissime. Poi mi hai chiesto se potevi entrare dentro di me.
- Sì, amore - ti ho risposto - lo voglio anch'io. E tu mi hai presa, forte e tenero al contempo.
Tre ore di passione trascorse meravigliosamente insieme!
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