A cena colla Kitty
(segue)
Poso il menù e schiocco le dita. Il cameriere, un omino smilzo e brizzolato, s'avvicina al tavolo cui siamo seduti.
"I signori hanno deciso?", domanda a entrambi con tono professionale.
"Sì", gli rispondo. "Io piglio un Garibaldi; la mia gentile accompagnatrice un Chinò San Pellegrino."
Mi fissi assottigliando le palpebre.
"Il Chinò bevilo tu, Ratto. A me quell'amarume colle bollicine non piace."
Sogghigno.
"Non vale la pena scaldarsi, passerotta. T'ordino qualcos'altro, ok?"
Mi dai un pizzico al dorso d'una mano.
"Passerotta... Io quel nomignolo lo detesto. Evita di chiamarmi così."
Ti strizzo un occhio.
"D'accordo, ciccina. Ogni tuo desiderio è un ordine."
Arricci il naso e mi mostri la lingua.
"Lo sai dove dovrei mandarti?"
Sogghigno ancora una volta.
"Certo, affanculo."
Il cameriere ci guarda. Non sa se ridere o conservare il suo aplomb.
Sfoglio nuovamente il menù. Indi punto lo sguardo sullo smilzo.
"Si cambia veleno, capo: io prendo un Kir Imperial; la signorina uno Shirley Temple."
Mi tiri un calcio in uno stinco. Il dolore è lancinante. Colpa della punta delle décolleté da mistress. Maledico il giorno in cui te le ho regalate.
"Steel, smettila di trattarmi come una bambinetta astemia. Io l'alcool lo reggo tanto quanto te se non di più."
Altro sogghigno da parte mia.
"Questo è tutto da dimostrare, Skizzo."
Accosti alla bocca il pollice della mano destra e ne mordicchi la pelle sopra l'unghia laccata di nero. Poi lo allontani dai denti e lo trascini sul labbro inferiore con un dolce movimento sinuoso. Mi fissi intensamente negl'occhi.
"Ilaria, io..."
Inghiotto saliva. Sono a corto di parole.
Un colpo di tosse. E' il cameriere.
"Chiedo scusa, signori, ma non ho capito cosa dovrei servire."
Gli lancio un'occhiata distratta.
"Due aperelli del Ratto."
Lo smilzo aggrotta la fronte.
"Che?"
"Due aperelli del Ratto. E' sordo per caso?"
Il cameriere mi guarda colla fronte sempre più aggrottata.
"No, però quei cosi che vuole, gl'aperelli, non credo siano contemplati nel menù."
Sbuffo.
"Certo che no, capo. Quella specie d'ambrosia l'ho inventata io. La ricetta è molto semplice: vodka e uno spruzzo di limone."
"Solamente quest'ingredienti?"
"Sì. Non penso che il barman trovi difficoltà a prepararcene una dose robusta."
Lo smilzo accenna un sorriso.
"Quanto robusta?"
"Per due shottini da cosacco."
"Con o senza ghiaccio?"
"Senza."
Il cameriere fa per andarsene. Io lo blocco collo sguardo.
"Capo?"
"Sì?"
"Nessun distillato di dubbia fama. Solo Vodka Standart Platinum. Intesi?"
Lo smilzo accenna un altro sorriso e scuote la testa.
"Intesi."
Il cameriere leva le tende e scompare nel caffé. Io mi metto a guardare i tavoli all'aperto confinanti col nostro. Sono occupati dai soliti pottoni e da un fitto manipolo di turisti accaldati.
"David?"
Ti lancio un'occhiata. Hai accavallato le gambe e la gonna dell'abito da cocktail s'è scostata parecchio all'insù.
"Oh?"
"Un penny per i tuoi pensieri."
Traggo un sospiro.
"Kierkegaard e Shopenhauer."
Sbatti le palpebre.
"Eh?"
"Kierkegaard e Shopenhauer. Due emeriti coglioni. Non credi, Kitty?"
Mi fissi sorridente.
"Boh?"
Un alito di vento ti scompiglia i capelli. Sei adorabile.
"Ne scrissero di fregnacce. Come Nietzsche."
Mi mostri ancora la lingua.
"Rattaccio hegeliano."
"Ti sbagli, Skizzo. Io sono un fan di Leibniz."
"Non eri epicureo tu?"
"Sì, ma ho cambiato idea."
"Perché?"
"Hai presente le monadi?" Annuisci col capo. "Ecco, la parte peggiore di me ha sviluppato un'insana passione per quegl'aggeggini lì. Che vergogna, eh?"
Scoppi in una fragorosa risata.
"Sei una sagoma, Steel."
Allargo le braccia.
"Cuique suum."
"Che locuzione forbita. Dove sei andato a pescarla?"
"Su Wikiquote, e dove se no?"
Ricompare lo smilzo. Preleva dal vassoio le ordinazioni e le posa sul tavolo. Indi mi guarda.
"Et voilà, signore: due aperelli del Ratto freddi e non ghiacciati."
"La vodka è quella che ho specificato?", gli domando.
"Certamente", mi risponde. "Standart Platinum."
"Hyva!" Punto lo sguardo su di te e inizio a canticchiare. "Libiamo ne' lieti calici, che la bellezza infiora; e la fuggevol ora s'inebrii a voluttà. Libiam ne' dolci fremiti che suscita l'amore, poiché quell'occhio al core onnipotente va. Libiamo, amore, amor fra i calici più caldi baci avrà."
Scavalli le gambe e mi tiri un calcio negli stinchi. Il secondo della serie.
"Finiscila. Tu mai e poi mai sarai il mio Alfredo."
Rido. Allungo una mano e t'accarezzo il faccino.
"Sono straziato." Piglio il bicchiere di vodka che ho davanti. "Berrò per dimenticare il dolore." Scolo l'aperello tutto d'un fiato, com'usavo sotto le armi durante le cene di calotta. Tu vorresti imitarmi. La Standart è troppo forte però. T'occorrono un paio di minuti per trangugiare il diabolico shottino.
"Tutto bene, Kitty?"
Hai ancora lo stomaco in subbuglio a causa della vodka.
"Sì."
"L'aperello bis ce lo concediamo?"
"No, meglio di no."
"Ok."
Mi rivolgo al cameriere.
"Capo?"
"Dica, signore."
"Due Becks."
"Classic o Next?"
"Classic."
Lo smilzo scompare di nuovo all'interno del caffé. Tu frughi nella tua pochette.
"Ilaria?"
"Eh?"
"Mica vorrai metterti a fumare?"
"Sì, perché?"
"E' una cosa quella che mi da assai fastidio."
"Siamo all'aperto, Ratto."
"Lo so, ma se potessi astenerti dall'inquinare l'ambiente, mi renderesti molto felice."
Sbuffi.
"Sei una palla."
"Però ti voglio un bene dell'anima."
Mi fissi.
"Smettila di fare il cascamorto, Steel. Non attacca."
Ti mando un bacio sulla punta delle dita.
"Obbedisco, tesorino!"
Mi fulmini cogl'occhi.
"David, se non la finisci con questi nomignoli insulsi, ti prendo a graffi e morsi."
Mi scappa un risolino.
"Adoro certe raffinatezze."
Torna il cameriere. Porta quanto richiesto: le birre e i relativi bicchieri.
"Capo", gli chiedo. "Il conto quant'è?"
Lo smilzo mi porge uno scontrino.
"Trenta euro tondi."
Gl'elargisco una banconota da cento cocuzze.
"Il resto è la mancia per lei e il barman."
Il volto del cameriere s'illumina.
"Grazie, signore."
Lo guardo.
"Capo?"
"Sì?"
"Niente bicchieri. Si beve a canna."
"Come desidera."
Lo smilzo stappa le Becks, sgombera il tavolo dai bicchieri e s'allontana. Io piglio la mia birra e inizio a centellinarla lentamente. Anche tu bevi a piccoli sorsi. Le tue labbra avviluppate intorno al collo della bottiglietta verde sono uno spettacolo davvero ammirevole.
"Ratto", mi domandi dopo qualche istante di silenzio. "Il nome di questo caffé, le Giubbe Rosse, da dove viene?"
Poso la Becks. Tu fai altrettanto.
"Da oltre oceano. Devi sapere infatti che il locale fu fondato alla fine dell'Ottocento da due burberi colonnelli in pensione delle guardie canadesi a cavallo. Di qui il nome, le Giubbe Rosse, che s'è conservato fino ai giorni nostri."
"E' la verità?"
Rido.
"Certo, Kitty. Sono un onesto sorcetto di campagna. Io le bugie non le dico mai."
Mi lanci uno sguardo fra lo scettico e il divertito.
"Sarà."
Un fragor di zoccoli. Piripicchio e Gino sono arrivati.
"Ilaria, ma petite, regarde là-bas." T'indico la carrozzella ferma davanti al caffé. "Ecco il mezzo che ho scelto per il trasporto della Venere Ambigua. Un cocchio magnifico, trainato da uno stallone con un rispettabilissimo pedigree."
Mi tiri un calcio negli stinchi. Il terzo della serie.
"Lazzarone..."
Non ti lascio parlare. Mi alzo dalla sedia e ti trascino via come un fiume in piena.
"Let's go, Skizzo. E' giunto il momento di salire su al Piazzale Michelangiolo dove s'eleva la Loggia, il ristorante colla vista panoramica più bella del mondo."
"Aspetta!", gridi in preda a una grande agitazione.
Mi blocco.
"Icche c'è?"
Punti il pollice dietro di te.
"Il bouquet di margherite che m'hai regalato è rimasto lì sul tavolo. Sii gentile, Steel: vammelo a prendere. E' un ricordo tenero e prezioso. Non voglio separarmene."
Accosto le mie labbra alle tue e ti bacio sulla bocca.
"Agl'ordini, Kitty!"
Mi pizzichi un braccio.
"Scemo."
Scuoto la testa.
"Bischero, non scemo. Son di Firenze dopotutto."