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I racconti qui pubblicati sono inoltre opera di fantasia. Ogni coincidenza con fatti reali e persone fisiche o giuridiche, realmente esistenti, o con enti, società, organizzazioni, gerarchie sia naturali che soprannaturali, è da ritenersi puramente causale.


giovedì 11 settembre 2008


Nove piccole pinze



Il freddo punge come un ago impietoso. Aggiusto la sciarpa intorno al collo, serro la zip del giubbotto e aumento l'andatura. In Via Jacopo da Diacceto non si vede anima viva. Guardo l'orologio. "Mezzanotte precisa", sibilo. "Spacco il secondo come al solito."



Infilo la porta girevole dell'Hotel Londra. Il calore della hall mi ristora. Vo al banco del concierge. Il portiere di turno mi conosce. È la brunetta cogli occhiali cui elargisco sempre mance, sorrisi e buffetti sulle gote.



"Hi, sweetie."



"Hi, sir."



"Sono atteso dalla signora che occupa la camera trecentotredici. Potrebbe annunciarmi di grazia?"



"No."



Alzo un sopracciglio.



"Perché?"



"La signora è uscita prima delle nove."



"In compagnia?"



"Sì."



Stringo le palpebre.



"Donna?"



La ragazza scuote la testa.



"Uomo."



Arriccio il naso. Detesto certe sorprese.



"Ha lasciato messaggi?"



La brunetta si volta verso la rastrelliera dietro il banco, prende la chiave della trecentotredici e me la porge sorridendo.



"No, però ho l'incarico di consegnarle questa."



Afferro la chiave, la fo sparire nella tasca destra del giubbotto e, dopo aver messo mano al portafogli, allungo alla ragazza tre banconote da cinquanta euro.



"Sweetie, una cortesia."



"Sì?"



Mi faccia portar su una coppa di fragole e uno champagnino: Moët Chandon, Krug, Bollinger. Quello che passa la buvette insomma."



La brunetta ride.



"Le fragole dove le trovo, sir? Non credo che in cucina ne abbiano. Non è stagione."



Le strizzo l'occhio.



"Sweetie, aguzzi l'ingegno. Non vorrà mica che le insegni il mestiere?"



Giro sui tacchi, attraverso la hall ed entro nell'ascensore. Premo il pulsante del terzo piano. Le porte si chiudono e la cabina inizia lentamente a salire.



Ho caldo. Allento la zip del giubbotto e srotolo la sciarpa. Punto lo sguardo sullo specchio dell'ascensore e fisso la mia immagine riflessa.



"Che fusto", mormoro tra me e me. "Un superratto d'acciaio."



Un cigolio. Le porte si aprono. Esco dalla cabina, piglio il corridoio a destra e, superate le scale, ne infilo un altro sempre a destra. Giungo così a destinazione.



Pesco la chiave dal fondo della tasca del giubbotto e la utilizzo per entrare in camera. Mi trovo al buio. Cerco l'interruttore e accendo la luce. Do un'occhiata in giro. L'alcova è provvista del necessario: un letto matrimoniale king size con relativi comodini, una tv ultrapiatta appesa alla parete di fronte al letto, un armadio a tre ante scorrevoli, due sedie, un tavolo tondo e una saletta da bagno riservata.



Mi levo sciarpa e giubbotto. Li poso sulla spalliera di una delle sedie e mi siedo sul bordo del letto. Il materasso è di media durezza. Ottimo per il disbrigo di certe acrobazie.



Noto un foglietto di carta gialla sul ripiano del comodino di destra. L'afferro. "Steel", sta scritto colla tua calligrafia svolazzante. "Il mio agente mi ha trascinato a una cena di lavoro molto noiosa. Tornerò per l'una. Tu mettiti comodo e rilassati. Besos."



Serro le mandibole, appallottolo il foglietto di carta e lo scaglio contro il comodino. Mi volto e abbasso lo sguardo. Una borsa per laptop giace abbandonata ai piedi dell'armadio.



Mi alzo dal letto e la raccolgo dal parquet. È aperta. Non riesco a trattenere la curiosità. Ne esploro il contenuto. Trovo nell'ordine: un frustino da equitazione, delle corde di canapa arrotolate, una benda di seta nera, un collare con guinzaglio, un morso di cuoio e una busta di plastica trasparente con dentro nove piccole pinze da bucato.



"Ohi", sibilo. "Questa sarà una notte davvero lunga."



Bussano alla porta.



"Chi è?", domando a voce alta.



"Servizio ai piani", mi risponde un bisbiglio roco.



Poso la borsa sul pavimento.



"Avanti."



La porta si apre. Compare un giovane cameriere. Spinge un carrello su cui si trova un vassoio d'argento con sopra una bottiglia di champagne nel suo secchiello, due flute da spumante e una coppa di fragole.



"Metta il vassoio sul tavolo", dico al ragazzo. È un cingalese. Lo testimoniano le fattezze del viso e il colore della pelle.



"Stappo la bottiglia, sir?", mi chiede lui una volta eseguito l'ordine.



"No, grazie. Allo champagne penso io."



Gli passo una banconota da venti euro. Il cameriere mi ringrazia con un mezzo inchino ed esce dalla stanza chiudendo silenziosamente la porta dietro di sé.



Vo al tavolo. Controllo la bottiglia nel secchiello. Lo champagne è un banalissimo Veuve Clicquot etichetta gialla. Arriccio il naso. A quella brodaglia avrei preferito un Bollinger "Grande Année" del novantasette ma non si può sempre pretendere il massimo dalla vita.



Mangucchio un paio di fragole. Poi mi reco nella saletta da bagno e mi sfilo i vestiti di dosso sparpagliandoli un pò dappertutto.



Torno in camera. Mi butto sul letto. La coperta e le lenzuola odorano di pulito. Tiro un sospiro.



Guardo l'orologio. All'una mancano ancora tre quarti d'ora. Sbuffo. Accendo la tv. Zappeggio da un canale all'altro. Quindi mi sintonizzo su Retequattro. Stanno proiettando Barry Lyndon, uno dei più bei film di Kubrick. Il protagonista ha appena disertato dall'esercito inglese e, travestito da ufficiale portaordini, si è messo a girovagare per le campagne dell'Hannover, per raggiungere il confine olandese e la salvezza. La trama avvince. Resto incollato allo schermo. Non riesco però a seguire le battute successive del film. Cado tra le braccia di Morfeo nel momento in cui lo Chevalier di Balibari e Redmund Barry fuggono da Berlino sotto il naso della polizia prussiana.

1 commento:

  1. Ahahah, il finale...
    ronf ronf
    Anche i siderratti "sboroni" si addormentano mentre la boccia di sciampagna se ne sta imbevuta... :)

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