Penitenza
Ciò che leggerete avvenne l'estate scorsa, dopo l'"azzeramento". All'epoca ero Nemo e il Cattivo Tenente e con Alessia le cose andavano male.
E' la fine di luglio e fa il solito caldo opprimente. "Trentatré gradi", hanno detto alla tv. Bugie! Sono sicuramente molti di più. Ho la camicia incollata alla schiena e sudo da tutti i pori. E' in giorni come questo che rimpiango gli algori dell'Ultima Thule.
Spengo il motore della mia Ypsilon "nove più uno" e scendo. Il convento delle orsoline è a un tiro di sasso dalla macchina, sull'altro lato della strada sterrata che mi ha portato fin lì. E' un edificio tozzo e massiccio. Incute timore solo a guardarlo.
"Porca manetta", sibilo. "La cosa non si prospetta granché bene."
Attraverso la strada e vo al portone del convento. Non vedo campanelli. Busso e mi metto in attesa. E' il silenzio più totale. Non vola una mosca. Mi asciugo la fronte col dorso della mano. Sono zuppo peggio che in sauna. Ho voglia di Becks.
Il tempo sembra non passare mai. Sbircio l'orologio. Le cinque spaccate. Ne ho abbastanza. Ribusso. Tre colpi stizziti. Nessuna risposta. Tutto continua a tacere.
Sto per tornarmene alla Ypsilon quando il portone si apre. Appare una suora. Ha il velo bianco. E' una novizia.
"Sia lodato Gesù Cristo", le fo.
"Sempre sia lodato", mi risponde lei.
"Sono un'anima in pena e abbisogno d'aiuto. Lupezia è a bottega?"
La suora sgrana gli occhi.
"La madre superiora, intende?"
"Sì. E' in sede, sorella?"
"Certo."
"Posso parlarle? Ho un peso sulla coscienza e solo lei è in grado di togliermelo."
La novizia mi fissa. E' piuttosto giovane, sui vent'anni.
"E' affare veramente grave?"
"Ahimé sì, sorella."
"Si accomodi allora. L'accompagno in parlatorio. Può darsi che la madre superiora acconsenta a riceverla."
Entro nell'atrio del convento. E' un vano molto ampio, con quattro colonne a sostegno del soffitto e un'apertura di fondo che da sul chiostro e sul giardino interno. La suora chiude il portone e mi fa cenno di seguirla. Io le vo dietro colle mani ficcate in tasca. Appena metto piede nel chiostro, un odore sgradevole mi assale. Sa di putrido e marcio.
"Sorella, permette una domanda?"
"Sì."
"Questo tanfo atroce da dove viene?"
"Dalla cucina. Suor Bernarda sta preparando la cena."
"Il famoso minestrone?"
"Già."
"Puzza forte. E' buono almeno?"
La novizia scuote il capo e mi guarda con aria sconsolata.
"La varechina ha un sapore migliore."
"Povere figlie, vi compatisco. Avete provato a chiedere un cambiamento di menù?"
"No, è una battaglia persa in partenza."
"Perché?"
"La madre superiora è sorda da quell'orecchio. Non vuole inimicarsi suor Bernarda che ha amicizie potenti."
"Il vescovo?"
La novizia scuote di nuovo il capo e abbassa la voce fino a un sussurro.
"No, il papa."
"Urca!"
La suora e io facciamo ancora qualche passo prima di fermarci dinanzi a una porta aperta. E' l'ingresso del parlatorio.
"Aspetti qui", mi dice lei. "Vo dalla madre superiora e vedo se può dedicarle qualche minuto."
"Hyvä."
"Eh?"
Levo le mani di tasca e alzo le spalle.
"E' finnico, sorella. Talora lo parlo senza accorgermene."
"A me capita col latino."
E' più forte di me. Non riesco a trattenere la lingua.
"Pulchra virgo, clari oculi tibi sunt."
La novizia diventa rossa per l'imbarazzo. Mi fissa imbambolata per qualche istante. Poi si allontana dalla porta in tutta fretta.
Io tiro un sospiro di autocommiserazione e scivolo nel parlatorio. E' una stanza disadorna, con un crocefisso appeso alla parete. Anche l'arredo è ridotto all'osso: quattro sedie impagliate e un tavolo di noce tirato a lucido.
Mi detergo nuovamente la fronte.
"Mazza che caldo", penso. "L'inferno è più fresco."
Mi accosto alla finestra del parlatorio. Lancio una lunga occhiata all'esterno. Scorgo un cortile e un frutteto cinti da un muro. Una suora e due novizie stazionano sotto un grosso ciliegio. Scrutano le fronde dell'albero in cerca di chissà che.
La suora ha un fisico robusto da cui spicca un pò di pancia. Veste un grembiule e una tonaca colle maniche rimboccate fin sopra il gomito e brandisce un'enorme mannaia da macellaio. Non ho dubbi: è Bernarda, la cambusiera del convento.
"Agostina, Feliciana", la sento domandare alle novizie. "Riuscite a vederlo?"
"Sì, sorella", le risponde una delle due. "Eccolo lassù."
"Lassù dove, Feliciana?"
"Lassù sul ramo."
"Quale ramo?"
"Quello." La novizia glielo indica puntando un braccio. Io mi sporgo dalla finestra e guardo nella stessa direzione del braccio. Noto, seminascosto tra le foglie del ciliegio, un gatto rosso che, colla flemma d'un re, sta mangiando una fila di quattro salsicciotti.
"Sorelle", sbotta irata Bernarda. "Andate a pigliarmi la scala a pioli che si trova nella rimessa degli attrezzi."
"Che intenzioni hai?" Parla Agostina, l'altra novizia.
"Voglio acciuffare quella bestia dannata e scorticarla a puntino", le risponde Bernarda agitando minacciosamente l'enorme mannaia. "E' l'ultima volta che saccheggia la mia dispensa, com'è vero che sono suora orsolina!"
"Non puoi. Robespierre è il gatto della madre superiora."
"Certo che posso. Io a quell'animale nefando gliel'ho giurata."
"Bernarda..."
"Adesso basta, sorella! Tu e Feliciana dovete obbedire e prendere la scala. Siamo alla resa dei conti con quel gattaccio infido."
"Una donna di polso, alla Maggie Thatcher", sentenzia una voce alle mie spalle.
Mi volto. Vedo una suora sulla soglia del parlatorio. Ha un viso angelico, dai tratti fini e delicati.
"Così parrebbe in superficie, sorella."
La suora mi fissa. I suoi occhi azzurri hanno la stessa profondità dell'oceano.
"Io sono Lucilla. Tu chi sei? Il nuovo giardiniere?"
"No, putroppo."
Mi discosto dalla finestra e le vo vicino, a distanza di naso.
"Sei bello", mi fa Lucilla con un pallido sorriso sulle labbra.
"Kiitos", le sussurro roco.
"Puhutteko suomea?"
"Kyllä joo."
Lucilla mi fissa di nuovo. Ho voglia di regalarle una carezza ma non oso.
"Sei felice?"
"No, sorella, soffro, soffro da morire."
"Perché?"
Il suo profumo mi avvolge. Ha un che di lavanda e viole.
"E' piuttosto difficile da spiegare."
"Tu prova."
La guardo dritto negli occhi.
"Alcuni mesi orsono ho subito una terribile débacle amorosa e, a causa di questo, sono divenuto un naufrago in balia della mia metà oscura."
Sono scosso da un tremito. Lucilla mi prende una mano e la stringe.
"Questa metà oscura dove ti conduce?"
"In luoghi bui e tenebrosi."
"Cioè?"
La fisso con dolcezza.
"Non indagare, minun keiju. Il Cattivo Tenente è un pessimo soggetto. Potrebbe ferirti."
Lucilla mi lascia la mano.
"Sei un cultore delle manette, vero?"
"Sì."
"Quelle cose mi atterriscono. Anche tu dovresti impaurirmi. Invece non succede. Sei proprio strano, lo sai?"
"Sì, lo so."
Lucilla si solleva sulla punta dei piedi e mi bacia la fronte. Poi fugge via come una foglia sospinta dal vento.
"Che sogno tenero e fugace", mormoro.
Ho le gambe pesanti. Mi accomodo su una delle sedie del parlatorio e abbasso le palpebre. Il caldo e l'afa finiscono sempre per mettermi addosso una grande sonnolenza.
"Signore?"
Ho un sobbalzo e riapro le palpebre. Vedo dirimpetto a me la novizia del portone.
"Sì?"
"Può conferire colla madre superiora. Venga, prego. L'accompagno nel suo studiolo."
Mi rizzo dalla sedia e stiro la schiena.
"Kyllä, sorella."
La novizia mi guarda e sorride.
"Semper finnice?"
"Semper."
Seguo la suora nel chiostro. Il caldo sembra alquanto peggiorato.
"Sorella, quest'arsura fiaccherebbe un cammello."
"A chi lo dice", ribatte lei secca.
Attraversata una porta, pigliamo una doppia rampa di scale che sale al piano superiore del convento.
"Quanto manca?", chiedo alla novizia. Ho i polmoni in sciopero. E' così da quando ho smesso il footing mattutino.
"Poco", mi risponde lei.
Imbocchiamo il corridoio a destra delle scale e, dopo qualche metro, ci arrestiamo. La suora bussa a una porta chiusa. Tre colpi discreti, un sussurro sul legno.
"Chi è?", domanda una voce da contralto calda e profonda. E' la tua. La riconoscerei tra mille.
"Sono Celeste, madre. Il giovane che voleva vedervi è qui con me."
"Fallo entrare."
La novizia apre la porta e mi fissa. Io le lancio uno dei miei sorrisi più splendidi.
"Vale, siderea puella."
La suora arrossisce ancora una volta.
"Vale, impudice vir."
Mi accomodo nel tuo ufficio, uno stanzino lungo e stretto assediato da un'imponente libreria. Tu siedi dietro una vetusta scrivania piena di carte, gli occhiali tondi e sottili mollemente calati sul tuo nasino a patata piccolo e grazioso. Mi scruti. I tuoi leggendari occhi nocciola striati di verde sono più intensi e scintillanti di quanto ricordassi.
Volgi lo sguardo da me a Celeste.
"Cara?"
"Sì, madre?"
"Puoi andare."
La novizia chiude la porta e scompare. Tu ti alzi in piedi e torni a scrutarmi. Il tuo sguardo è molto severo.
"Non cambi, eh? Il solito playboy da strapazzo."
"Certe abitudini faticano a morire."
Ti fisso. Le tue labbra imbronciate sono tremendamente sexy. Ho voglia di riempirle di baci.
"Come sei riuscito a scovarmi?"
"Segreto."
"Hai la faccia conciata a mo' di pizza. Che ti è venuto? L'acne?"
"No, è dermatite da batterio ostinato e resistente."
"Ti ascolti quando parli?"
"Mai."
"Scemo."
"Grazie, Milady, troppo gentile."
Il tuo viso si rabbuia. Pare velato da un'improvvisa nuvola di malinconia.
"Ho detto qualcosa che non dovevo?"
Serri le palpebre e arricci il naso.
"Milady appartiene al passato. Il presente è Madre Ignazia Lupezia Ottaviani, la moralizzatrice del web. Ti prego di rammentarlo. E portami rispetto, non foss'altro per l'abito che indosso."
Scuoto la testa. Proprio non ti capisco.
"Vuoi che passiamo al "voi" e ai relativi corollari?"
"Sarebbe il caso."
"Come desiderate ...madre."
Delle grida irrompono nello studiolo. Provengono dall'unica finestra del tuo ufficio.
"Lupezia", ti chiedo. "Il vostro studiolo mica si affaccia sul frutteto?"
"Sì", mi rispondi.
Ti prendo una mano. Il contatto colla tua pelle candida risveglia in me dolci ricordi.
"Venite, madre. Urge che voi controlliate cosa accade laggiù. Temo il peggio. Robespierre, il vostro felino perennemente affamato, potrebbe correre un pericolo gravissimo."
Ci precipitiamo alla finestra e guardiamo fuori. Ecco la scena che si profila sotto di noi: Robespierre sul ciliegio, sempre calmo e serafico e coi resti dei salsicciotti rubati in bocca, Bernarda penzolante da un ramo, a un tiro di baionetta dal gatto, Agostina riversa per terra, il capo incastrato nella scala a pioli, e la povera Feliciana saltellante su un piede. L'altro, che stringe tra le mani, deve essere stato colpito dalla spaventevole mannaia di Bernarda che giace inerte sull'erba, a pochi passi dell'albero.
"Sapristi!", esclamo. "Robespierre l'ha scampata. Vive la Révolution, à bas l'obscurantisme clérical."
Tu lasci la mia mano e mi propini uno slafarone.
"Evitate la politica, giovanotto. Non voglio udire certi discorsi inopportuni."
"Come desiderate, Lupezia. Sappiate, però, che il mio cuore sarà sempre giacobino, napoleonico e montagnardo."
Mi fissi. I tuoi occhi sono una lama affilata.
"Siete un folle."
Ti carezzo una gota.
"Voi mi avete reso così."
Mi molli un altro slafarone. Questo fa un male terribile. Rintrona il cervello.
"Contenetevi!"
Ti guardo. Ho voglia di stamparti un succhiotto sul collo.
"Non abbiate timore, madre. Mi conterrò."
Ti sporgi dalla finestra e strilli vari ordini alle tue sorelle. Bernarda, Agostina e Feliciana sgombrano il frutteto come se avessero il diavolo alle calcagna. Il gatto resta sul ciliegio. Si lecca il faccino e le zampe. Toilette post-merenda la sua.
Ti giri verso di me. Io trattengo a stento un risolino ironico.
"Perché ridete?"
"Avete lo stesso piglio di un caporale, Lupezia. Vi mancano solo i baffi neri."
Mi propini l'ennesimo slafarone. Sei piuttosto arrabbiata.
"Tacete, bestia ignorante!"
Ti strizzo l'occhio.
"Davvero non posso, madre. La mia lingua è incontrollabile, come voi ben ricordate."
Mi molli uno slafarone categorico. Ne sono travolto.
"Tacete, ho detto!"
Ti guardo. Ho caldo e le vertigini.
"Non posso, Lupezia. Ho la logorrea cronica. Niente mi zittisce."
Sospiri rassegnata.
"Sia come volete allora."
Mi indichi la sedia Luigi Filippo che si trova dinanzi alla tua scrivania.
"Accomodatevi e spiegatemi il motivo della vostra visita. Avete un fardello sull'anima e voi volete che ve ne liberi. Ho capito bene?"
Mi allontano dalla finestra e poso le chiappe sulla sedia.
"Sì, madre, è così."
Ti siedi dietro la scrivania e mi fissi.
"Parlate. Vi ascolto."
Accavallo le gambe e mi asciugo il palmo delle mani sui calzoni. Caso più unico che raro, sono imbarazzato.
"Tempo fa ho fatto sesso virtuale con una bellezza del Sol Levante e lo sbroglio di quella spirale di pensiero ha avuto degli effetti collaterali."
"Vi siete buscato un malanno?"
"Peggio, Lupezia: sono divenuto grafomane."
"Grafomane?"
"Sì, madre, grafomane: non riesco a smettere di scrivere."
Tiri indietro la testa e punti il tuo sguardo penetrante su di me. Ho le guance in fiamme.
"E di cosa trattano i vostri scritti?"
"Voglie, brame, desideri."
"Porcherie, insomma."
"Se volete metterla in questi termini."
Sorridi.
"Vi eccitate quando scrivete?"
"No, io no."
Sei basita.
"Che intendete dire? Spiegatevi."
"Alcune delle mie lettrici, prese dall'entusiasmo, hanno commesso atto impuro leggendomi."
"Voi come lo sapete?"
"Me lo hanno detto loro, a mezzo e-mail."
"E voi?"
"Voi che, Lupezia? Non pensavo che le mie parole potessero tanto."
Intrecci le mani e mi guardi intensamente.
"Dite un pò, giovanotto, la cosa non vi lusinga forse?"
"Sì, in effetti. Sembra che io abbia la capacità di suscitare piacere carnale colla letteratura minore. Di qui il dilemma, madre: quello che fo è peccato? Io non so darmene una risposta. Proprio no."
Serri le palpebre. I tuoi occhi hanno un che di ferino.
"Lupezia?"
Ti sollevi dalla scrivania e mi torci un orecchio. Il dolore è acuto e lancinante. I quattro slafaroni di prima erano una carezza al confronto.
"Sì che è peccato, bestia ignorante! Cosa credevate che fosse? Arte?"
Ho scavallato le gambe e sono prono in avanti, il collo inclinato in una posizione impossibile.
"Vi prego, madre, lasciatemi!"
"Nemmeno per sogno, giovanotto. Dovete espiare e pentirvi. Diverrete lo sguattero di Bernarda e la coadiuverete nella preparazione del minestrone, tutti i giorni della settimana eccetto il giovedì."
"Lupezia, siate buonina, non condannatemi a tale supplizio."
"Silenzio, bestia ignorante! E' tempo di raggiungere la cucina. Quello sarà il vostro posto finché non deciderò di restituirvi alla vita secolare."
"Madre..."
"Silenzio, giovanotto, silenzio!"
Sandokan...in un convento?
RispondiEliminainteressante :o)
Un saluto veloce :)
RispondiEliminaSempre magnifico...vado a perdermi nei miei viaggi acidi, tra una tazza di thè e un coniglio bianco...ti saluterò le fatine con le corone di spine e le ballerine con gli occhi ricuciti
RispondiEliminaCon Amore La Tua Cappellaia Matta
...sei un mito, ratto!
RispondiEliminakiss
mo.
Bello e divertente...
RispondiEliminaLupezia si sarà sentita molto gratificata.