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Questo blog contiene testi e immagini la cui fruizione è adatta esclusivamente a un pubblico adulto e consapevole.


I racconti qui pubblicati sono inoltre opera di fantasia. Ogni coincidenza con fatti reali e persone fisiche o giuridiche, realmente esistenti, o con enti, società, organizzazioni, gerarchie sia naturali che soprannaturali, è da ritenersi puramente causale.


mercoledì 28 gennaio 2009


Forever yours



Emergo dall'uscita del metrò. Controllo lo swatch. Le lancette dell'orologio segnano le undici meno sei.



"Sempre in anticipo", borbotto a fior di labbra. "Mai una volta fossi in orario."



Svolto a sinistra, avanzo di qualche passo e, posato sul selciato del marciapiade lo zaino Everlast che ho sulle spalle, mi piazzo di fronte alla porta d'ingresso del Multisala Barberini. L'attesa non dovrebbe essere lunga. L'appuntamento con te è fissato per le undici esatte.



I minuti si susseguono senza che tu compaia all'orizzonte. Infilo i Ray-Ban per proteggermi dalla luce del sole. Controllo nuovamente lo swatch. Sono le undici e uno. Tiro uno sbuffo.



Le undici e dieci. Pesco il cellulare dalla tasca dei jeans. Ti chiamo. Un messaggio automatico m'invita a riprovare più tardi visto che non sei al momento raggiungibile. Tiro un altro sbuffo.



Le undici e tredici. Comincio a pensare che non sia stata una buona idea quella di venirti a incontrare a Roma. Sei simpatica e m'intrighi ma non posso dire di conoscerti davvero. Anzi, se dovessi badare alla realtà dei fatti, tu cosa saresti per me? Una voce al telefono, un blog che non leggo e una foto sfocata decisamente brutta. Dovrei smettere d'imbarcare lo Steelrat in certe avventure. Eh sì.



Le undici e diciassette. Ho sete e una gran voglia di Becks. Inghiotto saliva.



Le undici e venti. Torno col pensiero al viaggio in treno di stamani. L'Eurostar delle otto e cinquantadue non era poi così affollato come temevo 1 e la tipa seduta sulla poltroncina di fianco alla mia non era male. Peccato fosse già impegnata. Ah la sfortuna.



Le undici e ventitré. Ti richiamo al cellulare. Solito messaggio automatico. "Le donne sono proprio un male necessario", sibilo. Ho tanta pazienza ma ora sono al limite.



Le undici e ventinove. L'uscita del metrò vomita una coppia di turisti. Lui è un colosso dai capelli fulvi e la faccia piena di lentiggini; lei una bionda mingherlina con un paio di gambe che sembrano due manici di scopa. Sono stranieri. Sicuramente americani. Mi fissano. Li fisso. S'avvicinano. Lentiggini mi chiede in un italiano passabile se so dove si trova la Fontana di Trevi. "Boh?", gli rispondo sorridente. "Domandalo al Bernini quando ti capita d'incrociarlo." La battuta non viene apprezzata: America inarca un sopracciglio e, colla bionda al seguito, se ne va scuro in viso. Io scrollo le spalle. Ho altro per la testa.



Le undici e trentadue. Comincio a temere che la tua latitanza sia una beffa ordita a mio danno. Odo un gorgoglio. È lo stomaco che reclama dalla fame. Sogno a occhi aperti un bel piatto fumante di bucatini alla matriciana.



Le undici e trentacinque. Una panda azzurro metallizzato colle barre portatutto sul tetto attraversa ruggendo Piazza Barberini. Giunta all'altezza del Multisala, gira a sinistra e s'invola su per Via Veneto. La spericolata fanciulla al volante di quel bolide targato LT è una vecchia conoscenza. Non riesco però a ricordare di chi si tratti. Invecchio. Perdo neuroni ogni giorno che passa. Cazzo.



"A bello!"



Mi riscuoto. Tolgo i Ray-Ban. Sbatto le palpebre. Ti metto a fuoco. Sei dinnanzi a me, sbucata da chissà dove e con uno splendido sorriso sulle labbra.



"Ciao."



Prendo le tue mani nelle mie. Sono morbide e delicate. Inspiro. Fiuto nell'aria un tenue sentore tra l'agrumato e il floreale. È certamente l'aroma del tuo profumo made Bulgari. Ti scruto. Hai la pelle dorata dal sole e ben calcati sul capo un paio di Blumarine con una montatura molto grande. I capelli li porti sciolti sulle spalle. Hanno una tonalità di rosso che non appariva in foto. Sono mossi e freschi di shampoo.



"Se po' sape' che te pija?"



Ridi.



"Nun me parevi 'n tipo tanto timido."



Continuo a osservarti. Hai il volto abbellito da un trucco ben dosato: rossetto arancio, fard e mascara volumizzante. Hai a tracolla una piccola borsa rossa, griffata Dolce e Gabbana. Indossi dei jeans stretti e una maglietta bianca aderente con uno scollo profondo. L'una e gl'altri sono coperti di strass. Hai i piedi nudi e calzi un paio d'infradito alte colla zeppa piena di brillantini. Sorrido.



"Aho?"



Non sei come m'ero immaginato che fossi. Proprio non lo sei.



"Er gatto t'ha magnato 'a lingua?"



Libero le mie mani dalle tue. Hai un décolleté che lascia incantati.



"No, è che m'hai furminato."



"Matto d'un fiorentino!"



"Te sbaij, ciumachella. Nun so' de Firenze e manco toscano purosangue."



Aggrotti la fronte.



"Davero?"



"Sine. So' pe 'n quarto emiliano. Nun l'hai sentito l'accento?"



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1 Detto Eurostar è stato sostituito dal 14 dicembre scorso dal Freccia Rossa delle otto e quarantanove. Il prezzo del biglietto è rimasto però inviariato. Che culo, eh?

lunedì 19 gennaio 2009


Il peplo d'Atena



Prendo il fodero e ringuaino la spada. Il silenzio sceso sulla piana dov'era infuriato l'attacco delle arpie di Podargo è rotto da Orfeo il Trace che ha intonato un canto melanconico e struggente. Mi guardo intorno, la vista appannata dal sudore. I miei compagni di battaglia sono tutti in piedi. Giasone, il duce, è appoggiato alla lancia, sfinito. Castore e Polluce, gl'intrepidi gemelli di Sparta, si danno delle pacche sul petto delle loro corazze, lieti di non essere sprofondati nell'Ade. Eracle forte braccio è intento a pulirsi barba e capelli dalle penne delle feroci donne uccello di cui ha fatto strage a colpi di clava. Ila il Driope, infine, sparse al vento le chiome fluenti, s'è messo a stuzzicare la corda del suo arco infallibile, avvolto in un chitone purpureo che gli lascia scoperte le gambe dalla linea perfetta.



"'A calura t'ha cotto er cervello?"



Socchiudo le palpebre e, con entrambi i gomiti, mi puntello sulla sabbia umida del bagnasciuga inclinando lo sguardo verso di te.



"L'arpie, Orfeo, Giasone sderenato."



Sei seduta al mio fianco, le ginocchia strette tra petto e braccia e gl'occhi nascosti dietro un enorme paio d'occhiali griffati Blumarine.



"Che stai a dì?"



Hai indosso un costume intero piuttosto sgambato. È nero come la clip che imprigiona i tuoi capelli rosso tiziano.



"Me pari matto."



Sbuffo.



"Ma quanno mai!"



Incrocio le caviglie e stiro ben bene la schiena.



"Stavo solo a frulla' 'n raccontino."



"'E solite zozzerie?"



"No."



Ti sbircio i piedi. Sono piccoli e belli, colle unghie smaltate di blu e verde. Una delizia per palati fini.



"Me volevo butta' sur mitologico e scrive der Mus."



Aggrotti la fronte, perplessa.



"Chi sarebbe sto tipo?"



Disincrocio le caviglie e piego in avanti il busto staccando i gomiti dalla sabbia.



"Quer sorcio falloppone 1 ch'accompagnò l'Argonauti a cazzeggio pe l'Egeo e zone licantrope."



Scuoti il capo. Ridi.



"Spari fregnacce."



Torno sdraiato sui gomiti e ti fisso, serio in viso.



"Guarda, nun me so' inventato niente. È tutta farina der sacco d'Apollonio Rodio."



Volto la testa e punto lo sguardo oltre Villa Volpi, sulla massa incombente del Monte Circeo.



"Er Mus approdò pure in sti lidi. Ce 'o racconteno Epicarmo, Formi e Aristofane."



Volto di nuovo la testa. Fisso le acque argentee del Tirreno che vengono lentamente a morire sulla spiaggia di Sabaudia.



"Fece er provolone co 'a maga Circe e, paraculato da Afrodite, je diede 'na botterella robusta."



Traggo un sospiro.



"'E raccomannazioni serviveno anch'allora. Mannaggia."



Scavi nella sabbia, ne afferri una manciata e me la scagli contro.



"Statte zitto, tanto nun m'addormi!"



Un'avvenente ragazza bruna entra per un attimo nella mia visuale. Cammina in riva al mare, coi piedi nell'acqua, diretta verso il tratto di spiaggia dove sono piazzati gl'ombrelloni dello stabilimento balneare Lilandà. Indossa dei minuscoli slip rossi e un'aderente maglietta a maniche corte con questa scritta sul petto: LUA VS PUPI E PUTIN. Non ha reggiseno. Intravedo chiaramente la punta dei suoi capezzoli.



"Che c'hai, aho? Hai l'occhi de fori."



Distolgo lo sguardo dal mare e lo punto nella tua direzione. Hai slacciato le ginocchia e ti sei stesa su un fianco, rivolta verso di me. Noto che hai un'espressione incupita.



"Nulla, ciumachella. Ponzavo."



T'adiri.



"Tu sei tutto tranne che mi nonno. Nun me chiama' così 2."



Ti do un'altra sbirciata. Hai un notevole paio di cosce e un corpo ben modellato. L'unica nota stonata sono le unghie delle mani, laccate d'un arancione bello carico.



"C'hai ragione, sa'."



M'accosto a dove sei sdraiata e scivolo sopra di te.



"Tu nun sei 'na pupetta."



Cerco la tua bocca.



"Anzi."



I Blumarine m'impicciano. Te li sfilo dolcemente per posarli sulla sabbia vicino alla borsa di paglia che ti sei portata sulla spiaggia.



"Nun fa er sorcio."



Mi spalmo ancora di più su di te. Il mio turgore è divenuto un pungolo insistente. Ansimi.



"C'è gente."



Le nostre lingue s'intrecciano voraci e appassionate. Poi io mi scosto da te inchiodando il mio sguardo al tuo.



"Nun me ne po' frega' de meno, ciumachella."



Piego le labbra in un sorriso sornione e vagamente beffardo.



"So' 'n omo assuefatto a 'e perversioni."



Scivolo di nuovo sopra di te. Accosto la mia bocca al tuo orecchio.



"Tu sai cosa se nasconne sott'er peplo d'Atena, vero?"



Ridi.



"Certo. 'A gattarola."



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1 "Mus" (μῦς), in greco antico, significa infatti "topo", "ratto".



2 S'allude qui al fatto che ciumachella, lumachina, è un vezzeggiativo che si usa colle bambine piccole.


"ἔνθεν δὲ προτέρω πλέομεν ἀκαχήμενοι ἦτορ,
ἄσμενοι ἐκ θανάτοιο, φίλους ὀλέσαντες ἑταίρους.
Αἰαίην δ' ἐς νῆσον ἀφικόμεθ'· ἔνθα δ' ἔναιε
Κίρκη ἐϋπλόκαμος, δεινὴ θεὸς αὐδήεσσα,
αὐτοκασιγνήτη ὀλοόφρονος Αἰήταο·
ἄμφω δ' ἐκγεγάτην φαεσιμβρότου Ἠελίοιο
μητρός τ' ἐκ Πέρσης, τὴν Ὠκεανὸς τέκε παῖδα."



(Odissea, Canto X, vv. 135-139)



"E all'isola Eèa venimmo; qui stava
Circe riccioli belli, terribile dea dalla parola umana,
sorella germana d'Eèta dal cuore crudele;
entrambi son nati dal Sole, che illumina gli uomini,

e madre fu Perse, figlia d'Oceano."