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I racconti qui pubblicati sono inoltre opera di fantasia. Ogni coincidenza con fatti reali e persone fisiche o giuridiche, realmente esistenti, o con enti, società, organizzazioni, gerarchie sia naturali che soprannaturali, è da ritenersi puramente causale.


lunedì 19 gennaio 2009


Il peplo d'Atena



Prendo il fodero e ringuaino la spada. Il silenzio sceso sulla piana dov'era infuriato l'attacco delle arpie di Podargo è rotto da Orfeo il Trace che ha intonato un canto melanconico e struggente. Mi guardo intorno, la vista appannata dal sudore. I miei compagni di battaglia sono tutti in piedi. Giasone, il duce, è appoggiato alla lancia, sfinito. Castore e Polluce, gl'intrepidi gemelli di Sparta, si danno delle pacche sul petto delle loro corazze, lieti di non essere sprofondati nell'Ade. Eracle forte braccio è intento a pulirsi barba e capelli dalle penne delle feroci donne uccello di cui ha fatto strage a colpi di clava. Ila il Driope, infine, sparse al vento le chiome fluenti, s'è messo a stuzzicare la corda del suo arco infallibile, avvolto in un chitone purpureo che gli lascia scoperte le gambe dalla linea perfetta.



"'A calura t'ha cotto er cervello?"



Socchiudo le palpebre e, con entrambi i gomiti, mi puntello sulla sabbia umida del bagnasciuga inclinando lo sguardo verso di te.



"L'arpie, Orfeo, Giasone sderenato."



Sei seduta al mio fianco, le ginocchia strette tra petto e braccia e gl'occhi nascosti dietro un enorme paio d'occhiali griffati Blumarine.



"Che stai a dì?"



Hai indosso un costume intero piuttosto sgambato. È nero come la clip che imprigiona i tuoi capelli rosso tiziano.



"Me pari matto."



Sbuffo.



"Ma quanno mai!"



Incrocio le caviglie e stiro ben bene la schiena.



"Stavo solo a frulla' 'n raccontino."



"'E solite zozzerie?"



"No."



Ti sbircio i piedi. Sono piccoli e belli, colle unghie smaltate di blu e verde. Una delizia per palati fini.



"Me volevo butta' sur mitologico e scrive der Mus."



Aggrotti la fronte, perplessa.



"Chi sarebbe sto tipo?"



Disincrocio le caviglie e piego in avanti il busto staccando i gomiti dalla sabbia.



"Quer sorcio falloppone 1 ch'accompagnò l'Argonauti a cazzeggio pe l'Egeo e zone licantrope."



Scuoti il capo. Ridi.



"Spari fregnacce."



Torno sdraiato sui gomiti e ti fisso, serio in viso.



"Guarda, nun me so' inventato niente. È tutta farina der sacco d'Apollonio Rodio."



Volto la testa e punto lo sguardo oltre Villa Volpi, sulla massa incombente del Monte Circeo.



"Er Mus approdò pure in sti lidi. Ce 'o racconteno Epicarmo, Formi e Aristofane."



Volto di nuovo la testa. Fisso le acque argentee del Tirreno che vengono lentamente a morire sulla spiaggia di Sabaudia.



"Fece er provolone co 'a maga Circe e, paraculato da Afrodite, je diede 'na botterella robusta."



Traggo un sospiro.



"'E raccomannazioni serviveno anch'allora. Mannaggia."



Scavi nella sabbia, ne afferri una manciata e me la scagli contro.



"Statte zitto, tanto nun m'addormi!"



Un'avvenente ragazza bruna entra per un attimo nella mia visuale. Cammina in riva al mare, coi piedi nell'acqua, diretta verso il tratto di spiaggia dove sono piazzati gl'ombrelloni dello stabilimento balneare Lilandà. Indossa dei minuscoli slip rossi e un'aderente maglietta a maniche corte con questa scritta sul petto: LUA VS PUPI E PUTIN. Non ha reggiseno. Intravedo chiaramente la punta dei suoi capezzoli.



"Che c'hai, aho? Hai l'occhi de fori."



Distolgo lo sguardo dal mare e lo punto nella tua direzione. Hai slacciato le ginocchia e ti sei stesa su un fianco, rivolta verso di me. Noto che hai un'espressione incupita.



"Nulla, ciumachella. Ponzavo."



T'adiri.



"Tu sei tutto tranne che mi nonno. Nun me chiama' così 2."



Ti do un'altra sbirciata. Hai un notevole paio di cosce e un corpo ben modellato. L'unica nota stonata sono le unghie delle mani, laccate d'un arancione bello carico.



"C'hai ragione, sa'."



M'accosto a dove sei sdraiata e scivolo sopra di te.



"Tu nun sei 'na pupetta."



Cerco la tua bocca.



"Anzi."



I Blumarine m'impicciano. Te li sfilo dolcemente per posarli sulla sabbia vicino alla borsa di paglia che ti sei portata sulla spiaggia.



"Nun fa er sorcio."



Mi spalmo ancora di più su di te. Il mio turgore è divenuto un pungolo insistente. Ansimi.



"C'è gente."



Le nostre lingue s'intrecciano voraci e appassionate. Poi io mi scosto da te inchiodando il mio sguardo al tuo.



"Nun me ne po' frega' de meno, ciumachella."



Piego le labbra in un sorriso sornione e vagamente beffardo.



"So' 'n omo assuefatto a 'e perversioni."



Scivolo di nuovo sopra di te. Accosto la mia bocca al tuo orecchio.



"Tu sai cosa se nasconne sott'er peplo d'Atena, vero?"



Ridi.



"Certo. 'A gattarola."



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1 "Mus" (μῦς), in greco antico, significa infatti "topo", "ratto".



2 S'allude qui al fatto che ciumachella, lumachina, è un vezzeggiativo che si usa colle bambine piccole.

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