Flambé
Getto lo sguardo fuori della finestra della veranda del ristorante. L'Adriatico è un'impenetrabile pozza d'oscurità in fondo alla spiaggia oltre la strada litoranea. Ho in bocca un vago sapore di campari e succo d'arancia. È quanto resta del Garibaldi, il cocktail che ho bevuto prima di cena all'Hemingway mangiucchiando una fitta schiera di crostini al ciauscolo.
Distolgo gl'occhi dal buio della notte e li punto sulla sala del ristorante. Scorgo il cameriere. Cammina verso di noi portando con sé una ciotola di vetro colma d'insalata e un piatto con sopra un foglio di carta d'alluminio accartocciato e fumante. Inarco le sopracciglia, sorpreso.
Il tale raggiunge il tavolo e distribuisce le ordinazioni: a te l'insalata; a me il foglio di carta d'alluminio. Abbasso lo sguardo e fisso il contenuto dell'involucro argentato. È un groviglio di spaghetti alla matriciana su cui arde una fiamma alimentata da chissà quale arcano portento. Alzo gl'occhi e ti guardo, perplesso.
"Senti un po', Rée: sai mica come spegnere questo rogo immane?"
Ridi.
"No, Ratto, è la prima volta che vedo una cosa del genere."
Cerco il cameriere collo sguardo ma non lo trovo. Il tale è uscito dalla sala per tornare in cucina.
"Cazzo."
Giro gl'occhi intorno a me, alla disperata ricerca d'un estintore.
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