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I racconti qui pubblicati sono inoltre opera di fantasia. Ogni coincidenza con fatti reali e persone fisiche o giuridiche, realmente esistenti, o con enti, società, organizzazioni, gerarchie sia naturali che soprannaturali, è da ritenersi puramente causale.


lunedì 12 dicembre 2005


Birra, pan carré e salame



E' un'uggiosa domenica pomeriggio di metà dicembre. Ho appuntamento con te alle cinque e sono piuttosto eccitato. E' la prima volta che ti incontro dal vivo e non sto nella pelle.



Sono in alta uniforme invernale: giubba color salmone, pantaloni e papillon blu e camicia bianca con gemelli. Ho i capelli lustri di brillantina e i piedi serrati in delle scarpe inglesi cucite a mano e più dure dell'acciaio balistico.



"Sarà bene che io ti piaccia in questo look da mezza sega", mormoro tra me. "Sennò ti piglio a leccate sulle gote."



Sono alla tua porta. Suono il campanello. Tre trilli da ratto in visita di cortesia.



Mi vieni ad aprire. Indossi una camicetta caki e una gonna plissettata nera lunga fino al ginocchio. Hai le gambe avvolte in dei collant color carne e calzi un paio di ballerine tacco sette molto intriganti.



"Steel, immagino", mi fai mentre, con la mano destra, ti riavvii i riccioli bruni.



"Indovinato."



Mi fissi. I tuoi occhi "verdastri" non sono così brutti come me li avevi dipinti per e-mail.



"Davvero originale la tua giacca. Dove l'hai rimediata?"



"Al mercatino americano di Livorno. Do you like it, sweetie?"



Sorridi.



"Sì."



Ti scruto. Hai un fisico esile ma con tutte le curve al posto giusto.



"Ora che mi vedi di persona, cosa pensi del sottoscritto? Metto paura?"



"No, però ti credevo più vecchio. Quanti anni hai?"



"Meno di zero."



Mi fissi.



"Sei il solito bischero."



"Me lo dicono in parecchi. Chissà perché?"



"Entra. Si gela qui fuori."



Mi accomodo in un ampio salone e do una sbirciatina in giro. Noto nell'ordine: una rampa di scale che sale alle stanze superiori, un tavolino di tek che separa due poltrone da un divano e una porta ad arco che immette in una sala da pranzo spartanamente arredata.



"Bella tana", ti fo. "Vivi con i tuoi?"



"Sì."



"Dove sono?"



"Fuori."



"Quando tornano?"



"Alle otto. Perché vuoi saperlo?"



"Semplice curiosità professionale."



Mi guardi.



"Chiariamo subito un concetto, maniaco. Con me niente sesso. Rassegnati."



"Sicuro?"



"Sicuro."



Mi ficco le mani in tasca e sbuffo.



"Vabbe', Blackie, io ci ho provato come da copione. E ora che si combina?"



"Gradiresti una tazza di tè?"



Scuoto la testa.



"Meglio una birra e, visto che vai in cucina, portami pure due o tre cosucce da ruminare. Ho sempre fame quando una squinzia mi da il due di picche."



"Ti serve qualcos'altro?"



"Sì, ma, per amor dell'italiano, è bene che freni la lingua."



Mi guardi. Stai per aprir bocca ma ci ripensi e scompari nella sala da pranzo. Io mi siedo sul divano. Ho caldo. Così mi levo il papillon e sbottono il collo della camicia.



"Io son tipo da angiporti e non da linde villette", sibilo. "Come posso cavarmi da questo casino senza ferire la mia gentile ospite?"



Comincio a pensare. Le idee, però, latitano. Sudo. Mi tolgo la giubba e i gemelli e arriccio le maniche della camicia fino ai gomiti.



Quando torni da me, sono sullo sbracato andante. Posi un vassoio sul tavolino di tek. Finalmente si mangia. Ti metti comoda sulla poltrona dirimpetto a me.



"Ti ho preparato cinque sandwich al salame. Il pane è a cassetta perché quello casereccio l'avevo finito. Spero ti piacciano."



Piglio un panino e lo ingollo.



"Don't worry, sweetie, mi garbano uno sballo."



Ne afferro un altro e lo divoro.



"Mangi come un cafone."



"Lo so."



"Non conosci le buone maniere?"



"Oggi no."



Mi fissi e ti batti il capo con l'indice della mano sinistra.



"Sei matto come un cavallo."



"P.d."



"Eh?"



"P.d.: può darsi. A volte è meglio parlar per sigle."



Accavalli le gambe. La gonna plissettata sale dove non dovrebbe. Sgrano gli occhi. Mi è venuta una sete improvvisa.



"Blackie?"



"Oh?"



"Ho la gola secca. Passami la birra, please."



Scavalli le gambe, ti chini sul tavolino e pigli l'Heineken che si trova sul vassoio. Mi scappa un risolino.



"Perché ridi?", mi domandi. Ti sei alzata in piedi, la bottiglietta di birra stretta nelle mani.



"Ho dato una sbirciatina al tuo tesoro. E' celato dietro delle mutandine a cuori che sono la fine del mondo. Dove posso andarle a comprare? Vorrei farne un regalo di  natale a tutte le bimbe che mi vogliono bene, virtuali e non."

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