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I racconti qui pubblicati sono inoltre opera di fantasia. Ogni coincidenza con fatti reali e persone fisiche o giuridiche, realmente esistenti, o con enti, società, organizzazioni, gerarchie sia naturali che soprannaturali, è da ritenersi puramente causale.


domenica 11 dicembre 2005


Piazzale Loreto numero 9



Sono le tre di mattina. Ho fame, freddo e sonno. Ficco le mani nelle tasche ventrali del mio giubbotto da pilota e mi metto a camminare lungo il marciapiede verso il luogo del rendez-vous. Piazzale Loreto è deserto tranne che per un paio di puttane e i soliti afficionados.



"Milan est toujour Milan", mormoro. "Bella di giorno, cupa e tenebrosa di notte."



Mi fermo. Sono arrivato al civico 9, dove mi avevi detto di aspettarti. Tiro un sospiro. Non vedo l'ora di incontrarti. Da quando siamo amici di tastiera, muoio dalla voglia di capire chi sei e cosa esattamente mi attrae in te.



Ho la schiena e le gambe indolenzite. Per venire fin lì da Firenze mi sono fatto con la mia Ypsilon "nove più uno" l'autosole e relativi cantieri, la tangenziale est, uno svincolo, tre strade, due piazze e una stradina a esse.



"Porca manetta", penso. "Non ho più il fisico per reggere simili pazzie. La vita da bertuccia dello Yukon che vo conducendo da qualche mese a questa parte mi ha proprio rammollito."



Odo un rombo di motore e uno stridio di gomme. Volto la testa nella direzione del rumore e scorgo una Saab Sport Sedan grigio argento che si è appena infilata nel Piazzale da Via Battaglia.



"Quelle bagnole!", sibilo. "Io, però, una femmina del tuo calibro me l'ero immaginata su un'Aston Martin Vanquish nero metalizzato."



La Saab si arresta a pochi metri da me e accende le luci d'emergenza. Mi scappa un sorriso.



"Brava bambina", mormoro. "Bisogna sempre rispettare il Nuovo Codice della Strada. Sennò sono cazzi molto acidi. Te lo dice uno che, in certe materie, ne sa più di te."



La vettura grigia spegne il motore. Si apre lo sportello di sinistra. Ne scendi tu e mi fissi. I tuoi occhi sono un pozzo di tenebra.



Ti avvicini. Hai intorno al collo una sciarpa di cashmere rossa e indossi un cappotto nero e dei pantaloni "à la mâle", dello stesso colore. Sei senza guanti e calzi un paio di stivali tacco otto.



Siamo l'una di fronte all'altro, naso contro naso.



"Così tu saresti lo Steelrat", mi fai.



"In carne e ossa."



"Mi sembri uno come tanti."



Ho un sogghigno.



"Può essere."



Mi dai una sberla.



"Regola numero uno, baby: qui comando io."



Ho un altro sogghigno e ti mollo due ceffoni, uno più forte dell'altro.



"Regola numero due: non chiamarmi baby. Regola numero tre: comandi tu perché sono io che te lo permetto."



Stringi i tuoi stupendi occhi scuri e mi dai una seconda sberla.



"Regola numero quattro: tu devi parlare solo quando interrogato. Capito, ratto dei miei fondelli?"



Ti rimollo un ceffone.



"Regola numero cinque: la lingua è mia e la gestisco come meglio credo."



Allunghi una mano verso di me e mi graffi una guancia con le tue unghie smaltate di rosso.



"Regola numero sei: devi obbedirmi senza discutere."



Ti afferro per la gola e stringo. Sono adirato e, com'era prevedibile, ho snudato le zanne.



"Regola numero sette: il dolore non mi eccita. Mi fa solo incazzare. E se io mi incazzo, gli effetti sono questi."



Allento la presa e ti allontano da me. Ho l'adrenalina a mille e una voglia matta di spaccar teste. Ti guardo. Hai delle cosce che sono una delizia. Ho l'acquolina. Devo deglutire.



Cala il silenzio. Tu fissi me e io fisso te. Vorrei riempirmi del tuo sapore ma mi trattengo. Basta una mossa sbagliata da parte tua e io esploderei di nuovo con chissà quali conseguenze.



"Steel?"



Insipiro e espiro profondamente.



"Dimmi."



"Forse è più saggio non darsi nessuna regola."



"Je suis d'accord, ma sœur. Pigliamo le cose come vengono."



Mi carezzi la gota ferita.



"Ti ho fatto male?"



"Un pò. E a te è piaciuta la mia morsa d'acciaio?"



Sorridi.



"Sì, l'ho trovata molto stimolante."



Do un'occhiata all'orologio.



"Sono le quattro e io me ne devo tornare a casa di corsa. I nostri affarucci è meglio rimandarli al prossimo incontro, ok?"



Annuisci con un cenno del capo.



"Ti ho prenotato una camera all'Hotel Londra di Firenze. La numero trecentotredici. Vediamoci lì quando hai voglia di me. Io, per quella cosa, sono sempre pronto."



Mi guardi dritto negli occhi.



"Scusa, mon frère, ma non mi è chiaro un concetto. Tu quella cosa come intenderesti combinarla? Come un vanilla 1 in luna di miele? Io sotto, tu sopra e vai di ginnastica?"



 Ti fisso. Hai una bocca meravigliosa.



"Puoi portarti dietro la tua attrezzatura da campo se proprio non riesci a farne a meno."



"La mia che?"



"La tua attrezzatura da campo: manette, fruste e gingilli vari. Può darsi che ti consenta di usarli su di me o su di te."



Mi vieni addosso come un bulldozer impazzito. Ti resisto a malapena.



"Tu chi accidenti credi di essere?", mi strilli sul muso.



"Uno, nessuno, centomila", ti rispondo mentre, con un'abile mossa, ti stampo un bacino sulla punta del naso.



1 Nota per i non iniziati: per "vanilla" intendesi l'eterosessuale perfetto, il "normale" per eccellenza.

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