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Questo blog contiene testi e immagini la cui fruizione è adatta esclusivamente a un pubblico adulto e consapevole.


I racconti qui pubblicati sono inoltre opera di fantasia. Ogni coincidenza con fatti reali e persone fisiche o giuridiche, realmente esistenti, o con enti, società, organizzazioni, gerarchie sia naturali che soprannaturali, è da ritenersi puramente causale.


domenica 18 dicembre 2011

Experiment 33

Ti afferro i polsi e li inchiodo al materasso. Ti fisso.

- Esperimento trentatré - sibilo.

Vorresti replicare ma non ne hai il tempo. Calo sulla tua bocca e ti riempio di baci prima di incunearmi tra le tue cosce.

Ti penetro brutalmente spingendo come un indemoniato. Tu mugoli avvinta a me da una stretta implacabile.

- Smettila - riesci a dire tra i gemiti.

Io non rispondo. Continuo a spingere finché non ti sento urlare di dolore e piacere. Poi, tutto sudato, mi scosto da te per distendermi al tuo fianco.

- Che ti è preso? - mi domandi.

Rido.

- Esperimento trentatré: orgasmo in sintesi.

Nota per i miei quattro lettori: le parole di questo racconto sono cento. Le ho contate una ad una con il mio pallottoliere.

domenica 7 agosto 2011


Speed



Autostrada Torino-Milano, direzione Torino, da qualche parte tra i caselli di Marcallo Mesero e Novara Est. La Cinquecento TwinAir blu carismatico su cui stiamo viaggiando divora un chilometro dopo l'altro, spinta dagl'ottantacinque cavalli del suo motore bicilindrico turbo. Il tachimetro posto dietro il volante in pelle segna poco più di novanta. I quattro altoparlanti dell'impianto hi fi eruttano a tutto volume "Buongiorno bell'anima" di Biagio Antonacci. Storco il naso. Sbuffo. Non riesco a digerire la voce di quella piaga. Proprio non gliela fo.

"Che hai?", mi domandi tu lanciando un'occhiata nella mia direzione.

"Nulla", rispondo io secco.

Due Tir si profilano davanti a noi. Guardo nello specchietto retrovisore del conducente. La Skoda station wagon che ci segue da qualche minuto è ancora molto distante. Ho strada libera. Decido quindi per il sorpasso dei camion. Premo l'acceleratore più a fondo. Aziono le frecce. Cambio corsia. La Cinquecento si trascina prepotentemente in avanti col suo caratteristico rombo. Il tachimetro è salito a centotrenta. Tu t'aggrappi alla maniglia dello sportello.

"Vai piano", sibili.

Non rispondo. Continuo a premere l'acceleratore.

"Sei sordo? Rallenta!"

La TwinAir supera di slancio i Tir. Fila a centocinquanta ormai.

Giro la testa. Ti fisso.

"Reggi lo sterzo."

"Eh?"

"Reggi lo sterzo!"

Tolgo le mani dal volante. Tu lasci la maniglia dello sportello e ti protendi verso il posto di guida per afferrare lo sterzo con tutta la forza che hai. Sei impaurita ma anche piena di rabbia.

"Vuoi che c'ammazziamo?"

Non ti degno d'una risposta. Sgancio la cintura di sicurezza che mi tiene avvinto al sedile del pilota. Sbottono i Levi's. Li tiro giù fino alle caviglie insieme ai boxer badando a non mollare la presa sull'acceleratore. Tu mi guardi costernata.

"Sei fuori? Ti pare il momento?"

Rido.

"Fammi un succhiotto, su."

"No."

"Sii buona."

"No!"

Ti vengo addosso. Voglio baciare i tuoi seni prosperosi. Tu opponi resistenza. Ti dimeni. Io m'incollo viepiù. Non demordo. T'aggrappi al volante. Gli dai degli strattoni. La Cinquecento sbanda e zigzaga tra una corsia e l'altra. Rischiamo grosso. Uno dei camion alle nostre spalle si mette a suonare le trombe.

"T'arrendi?"

Inchiodi il tuo sguardo al mio. Annuisci.

"Questa però me la pagherai cara."

Sogghigno.

"Non m'importa. Son pronto a tutto."

Torno padrone dello sterzo. Allento la presa sull'acceleratore. La TwinAir diminuisce di velocità a centoventi posizionandosi stabilmente sulla corsia centrale. Controllo gli specchietti retrovisori. Abbiamo strada a sufficienza sia davanti a noi che dietro. Stacco la mano destra dal volante. L'allungo verso di te. Tu non scappi. Mi permetti di carezzarti le guance e il mento.

"Mangiami."

Slacci la cintura di sicurezza. Ti chini su di me e divori il mio uccello. L'assapori lentamente, centimetro dopo centimetro. Divento turgido e duro nella tua bocca calda. Tiro un sospiro. Mugolo.

"Ancora, paciu, voglio essere tuo."

Ingoi più in profondità. Succhi con estrema perizia. Tiro un altro sospiro.

"Dio, quanto sei bella."

L'impianto hi fi erutta adesso la voce di Gianna Nannini che canta "Amandoti". Mi spunta in viso un sorriso ebete mentre colla mano non impegnata a tenere lo sterzo ti sfioro i lunghi capelli rossi e la schiena. Noto che il tachimetro è sceso ulteriormente. Segna ora poco meno di cento. Vorrei pestare sul gas ma non posso. Tu hai fatto uscire il cazzo dalle labbra e ti sei gettata a corpo morto tra le mie cosce per titillarmi i testicoli con dei sapienti colpetti di lingua.

"Togliti", rantolo. "Devo accelerare. Perdiamo potenza."

Un dolore lancinante. Hai morso uno dei miei gioielli.

"Ehi!"

Altro morso. Altro dolore lancinante.

T'afferro i capelli. Tiro. Tu non cedi e resti avvinghiata a me. Mordi. Sono costretto a desistere. Uso una mano sola. Non ho molta forza.

"Levati di dosso, miseria ladra!"

Hai ripreso l'uccello in bocca. Lo tieni tra i denti, stretto. Mi sfuggono le tue intenzioni. Non penso tu voglia provare a evirarmi. Te ne manca lo stomaco. Non t'ho però mai vista così determinata e furiosa.  Lancio un'occhiata agli specchietti retrovisori. I due Tir di prima, sulla corsia lenta, c'hanno quasi raggiunto. Anche la Skoda station wagon s'è avvicinata. Macina asfalto sulla nostra stessa corsia, più veloce di noi che andiamo a ottanta. Rido. Ho avuto una folgorazione. So com'uscire da quell'impasse. Intono perciò a squarciagola Bach per sovrastare i gorgheggi della Nannini.

"Komm süsser Tod, komm selge Ruh 1 !"

Metto entrambe le mani sul volante. Lo stringo fino a sbiancare le nocche.

"Komm, führe mich in Freide, weil ich der Welt bin müde   
!"

Do un colpo allo sterzo. La Cinquecento cambia violentemente corsia e taglia la strada ai camion. Il primo di questi frena con un gran stridio di gomme.

"Komm, ich wart auf dich, komm bald und führe mich 3."

Do un secondo colpo allo sterzo. La TwinAir schizza di lato e torna a invadere la corsia centrale.

"Drük mir die Augen zu komm selge Ruh 4!"

Il conducente della Skoda, un ragazzotto dai capelli ricci brizzolati, c'evita per un pelo scagliando la station wagon sulla terza corsia. È piuttosto incazzato. Agita i pugni e suona il clacson come un invasato. Io me ne frego. Do l'ennesimo colpo allo sterzo. La Cinquecento s'infila nuovamente nella corsia lenta. Stavolta sono i Tir a strombazzare contro di noi. Tu decidi che è abbastanza. Ti scolli da me. Io scalo marcia. Passo dalla quinta alla quarta. Premo l'acceleratore a tavoletta per ingranare ancora la quinta quando il motore prende giri. La TwinAir sfreccia in avanti e supera la Skoda. Poi si lancia verso Novara a più di centotrenta. Sono soddisfatto. Ho ristabilito lo status quo ante.

"Ti detesto", mi fai.

I quattro altoparlanti dell'impianto hi fi diffondono intorno a noi una delle mie musichette preferite, "The Italian Job" di Quincy Jones.

Sistemo un pò meglio sul sedile le chiappe nude e ti fisso intensamente. Sorrido.

"Io Tarzan, tu bona."

Scuoti la testa.

"Matto, sei tutto matto."
_______
1 Vieni, dolce morte, vieni benedetto riposo!
2 Vieni, guidami alla pace, poiché sono stanco del mondo.
3 Vieni, t'aspetto, vieni presto e guidami.
4 Chiudimi gl'occhi. Vieni benedetto riposo!

sabato 6 agosto 2011


Logan's tales
Capo quinto


Ibarra de la Peña Varona ci fissa entrambi viepiù a disagio. Poi si rimette la papalina sulla parrucca e s'abbandona a un gesto di scongiuro facendo le corna con una rapida manovra della mano destra.

"Vi vedo turbato, Ciccio", gli fo colla voce ancora roca. "Perché mai?"

"Quant'affermato dal vostro famiglio circa la morte m'inquieta oltremodo."

Ho un sogghigno.

"Yla tende sempre al dramma, messere. Credetemi. Le circostanze che portarono alla mia... ehm.. resurrezione sono meno brutte di quello che sembra."

"Veramente?"

"Certo."

Mollo la presa sui capelli del mio compagno d'avventure e gli batto una mano sulla schiena.

"Yla..."

"Sì?"

"Racconta a messer Ibarra de la Peña Varona come fui trascinato in questo reame favoloso chiamato con poca fantasia Terra di Mezzo."

"Tutta la storia per filo e per segno?"

"Certo, non tacere nulla."

L'imberbe monello s'alza dalle mie ginocchia e torna in piedi dietro di me. Posa le sue mani sulle mie spalle con fare protettivo.

"Tanto tempo fa in un universo lontano esisteva un uomo. Era carne, sangue, ossa. Un giorno d'inverno subì però una strana metamorfosi. Diventò un personaggio inesistente fatto di parole. Aveva centomila nomi ma era conosciuto ai più come Steelrat, il Ratto d'acciaio. Soleva frequentare le cloache più stomachevoli d'un mondo posticcio che era stato creato da un'arcana magia chiamata Interconnected Networks. La nostra simpatica pantega in armatura la definiva però più semplicemente Cartone a denotare in senso spregiativo il suo carattere fasullo e travisante."

"Satàn, com'ero scatenato!", sbotto. "Navigavo notte e dì pei perigliosi mari del vizio computerizzato seminando vento e raccogliendo tempesta."

"Dopo aver trascorso alcuni anni impegnato in quella futile attività", continua Yla, "il Ratto decise di cambiare registro. Era stanco, annoiato, voleva tornare a essere uomo. Fu così che una sera d'autunno dipartì con grande apparato di mezzi togliendosi dal Cartone."

"Ebbi un bellissimo funerale", aggiungo. "Mi fu persino dedicato un weblog alla memoria con due lumi eterni e un teschio rotante. Vi prego di credermi, Ciccio. Quell'ordigno mortuario fu davvero un mirabolante portento tecnologico."

Ibarra de la Peña Varona ride.

"Vi credo, Logan."

"La nera signora colla falce", prosegue il mio scudiero, "non riuscì tuttavia a ghermire il Ratto per l'eternità. L'Innominata, la burbera fattucchiera che regna sulle desolate lande dell'Ultima Thule, s'invaghì di lui. L'aveva letto nel Cartone e voleva carpirne i segreti divorata da un'insana curiosità. Ingiunse perciò alla strega di Branzag, Sarluma, di riportarlo in vita sotto mentite spoglie, il che avvenne una notte in una tenebrosa caverna sepolta sotto la spessa coltre di ghiaccio dell'estremo nord. Nacque così Logan l'avventuriero. Io vidi la luce la stessa notte.  Fui subito posto al suo servizio, legato a lui da chissà quale incantesimo."

"Sapete", fo a Ibarra de la Peña Varona, "ricordo ancora quegl'istanti fatali. Ero ficcato nel Nulla senz'affanni né pene. Poi d'un tratto mi trovo al freddo in una spelonca spoglia e tetra con indosso questi panni da bravo manzoniano. Non potete immaginare, Ciccio, quale fosse la mia confusione. Ero Steelrat e Logan, due personaggi con vicissitudini e storie tutte diverse."

"La strega di Branzag non vi chiarì le idee?"

"No, quel donnone in tunica e mantello era preso da altre faccende."

"Ovvero?"

"Stava manipolando le polveri magiche dalle quali scaturì la birba che vedete qui dietro di me."

"Che genere di polveri?"

"L'ignoro. L'arcano esula dalle mie conoscenze."

Ibarra de la Peña Varona piega la bocca in una smorfia. Pare scettico.

"Sarluma", torna a raccontare Yla, "ci condusse dalla sua padrona. Incontrammo l'Innominata nella sala del trono del suo incredibile castello fatto di diamanti grezzi. Era una virago dai capelli rossi e dallo sguardo leggermente strabico. Incuteva timore paludata nei suoi sfavillanti paramenti stregoneschi."

"Era comunque femmina dotata d'interessanti attrattive", preciso. "Vi posso garantire, Ciccio, che aveva un seno opulento e un fondoschiena d'un'altezzosa rotondità. L'unica sua pecca erano le mani. Le sentivi al tatto ruvide e secche."

"Com'avrete certo intuito", continua il mio compagno d'avventure rivolto a Ibarra de la Peña Varona, "la fattucchiera e il Ratto intrecciarono ben presto una relazione carnale molto intensa. L'Innominata l'aveva accolto nel suo letto perché aveva saputo risvegliare in lei brame e desideri che non provava da tempo. Gl'amanti che aveva sperimentato prima di lui, salvo qualche rara eccezione, erano sempre stati dei villani inesperti o degl'orchi abominevoli non in grado di stimolare la sua contorta quanto famelica libido. V'erano dei giorni in cui non riusciva a contenersi. Trascinava il Ratto nella sua alcova consunta per giacere con lui fino a fiaccarne le reni. I loro strepiti amorosi s'udivano ovunque nel castello. Persino io che ero stato relegato nelle stalle li sentivo distintamente."

"Questo... uh... idillio ebbe vita lunga?"

"Affatto."

"Cos'accadde?"

"La fattucchiera decise dopo alcuni mesi di rinverdire uno dei suoi vecchi sollazzi."

"Chi fu il fortunato?"

"Quattrocornetti, il tanghero dinoccolato che accudiva i suoi cani."

"L'Innominata ruppe quindi col Ratto."

"Non proprio."

"Sarebbe a dire?"

"Sarebbe a dire che non aveva intenzione di lasciarlo. Era una donna bislacca, sapete. Voleva che restasse suo per l'eternità."

"Davvero?"

"Sì, messere. Fece rinchiudere il Ratto nelle segrete del castello. Passava da lui più volte al giorno per assillarlo coi suoi monologhi senza fine. Un supplizio quello che poteva essere concepito solo da una mente incrinata."

"Che agonia, Ciccio!", esclamo. "La maliarda veniva nella mia cella in compagnia dei suoi scherani e mi blaterava contro i discorsi più vari. Rimestava fumo a getto continuo soprattutto quando parlava dell'amore che provava nei miei confronti. Poco mancò che uscissi pazzo."

"Non stento a credervi."

Ibarra de la Peña Varona socchiude le palpebre e mi guarda intensamente.

"Dite, cavaliere, come spezzaste la vostra prigionia?"

Ho un altro sogghigno.

"Fu grazie al mio scudiero."

"Spiegatevi."

"Yla era stato confinato nelle stalle ma godeva d'una certa libertà di movimento. Nessuno gli badava. Era considerato un fanciullino innocuo che sbrigava con efficienza e zelo gl'umili compiti che gli venivano affidati."

"Sono maestro nell'arte della dissimulazione", puntualizza l'imberbe monello alle mie spalle. "Non sono mai ciò che appaio e tengo sempre celati nel profondo i miei veri propositi."

"Una notte", proseguo, "Yla s'introdusse nelle segrete e pugnalò a morte i due bravacci baffuti che sorvegliavano le celle. Fu un'azione rapida e decisa, basata sull'effetto sorpresa."

"In un primo tempo", rincara il mio compagno d'avventure, "avevo pensato di stordire quegli sciagurati con una delle pozioni narcotizzanti che avevo trafugato la notte precedente dal dispensario della strega. Poi scelsi le vie spicciole, più intonate allo stile del Ratto."

"Appena si trovarono le chiavi del bugigattolo in cui ero stato recluso", torno a spiegare, "io fui libero di fuggire. Corsi pertanto nelle stalle dov'escogitai il modo d'evadere dal castello e di volare con Yla fin quaggiù a Ebuda, città in cui decisi di stabilirmi e che elessi a sede dei miei affari. È tutto chiaro ora, Ciccio?"

Ibarra de la Peña Varona scuote la testa.

"Mi sfugge un dettaglio, ser Logan."

"Cioè?"

"Voi e il vostro famiglio non avete poteri magici. Come riusciste a lasciare in volo la rocca dell'Innominata?"

Rido.

"Volete che ve lo mostri, Ciccio?"

"Certamente."

"Venite."

M'alzo dalla sedia ed esco dall'Ancora d'oro per andare nel cortile antistante la locanda seguito da Ibarra de la Peña Varona e dall'imberbe monello. Noto colla coda dell'occhio che Red s'è affacciata sulla soglia della porta incuriosita da quella piccola processione.

"Caro Ciccio", fo a Ibarra de la Peña Varona, "la maliarda ospitava nelle sue stalle un variegato stuolo di quadrupedi tra i quali si contavano alcune creature portentose capaci di librarsi in aria come gl'uccelli. Fu appunto in groppa a una di tali creature che Yla e io partimmo dall'Ultima Thule per queste lande dal clima più temperato."

Sollevo lo sguardo al cielo e grido a perdifiato battendo le mani.

"A me, bestia dannata!"

S'odono delle urla ferine che squarciano il silenzio della notte.

"Vieni, colombo troppo cresciuto, vieni!"

Dalle tenebre che ci sovrastano spunta una creatura spaventevole e superba, con testa e ali d'aquila, zampe artigliate e corpo e coda di cavallo. Picchia a velocità pazza verso di noi minacciando di spazzarci via dal cortile.

Smetto di battere le mani e impugno la pistola a focile che tengo infilata nella cintura. Armo il cane e gliela punto contro continuando a gridare a perdifiato.

"Fermati, gallinaccio decerebrato!"

Prendo la mira. Tiro il grilletto. La pistola esplode il colpo in una fiammata.

La creatura viene ferita di striscio  al quarto posteriore destro. Cabra e s'arresta a mezz'aria davanti a me battendo indietro le ali. È inviperita.

"Giù, strambo animale, da bravo!"

La creatura obbedisce e si posa a terra. Io ripongo la pistola scarica.

"Non è una bellezza di mostro, Ciccio? Ammirate il colore del suo mantello. È argento e nero come il cielo colmo di stelle sopra di noi."

Ibarra de la Peña Varona fissa incredulo la terribile creatura piombata dal buio. È divenuta mansueta adesso e sta affilando gl'artigli sui ciottoli del cortile.

"Che bestia è?", mi chiede.

"Un ippogrifo", gli rispondo. "Viene dai monti Rifei dove la strega lo rapì alla madre quand'era ancora cucciolo."

M'accosto al muso del prodigioso animale. Gli carezzo il becco.

"È uno stallone, sapete, piccoso, matto e bislacco come la sua ex padrona."

"Gl'avete dato un nome, cavaliere?"

"Sì."

"Quale?"

Ho l'ennesimo sogghigno.

"Hurrikaani, Uragano."

Logan's tales
Capo quarto


Yla ha un moto d'affetto. Viene ad accomodarsi sulle mie ginocchia e con la punta del suo stiletto d'argento mi solletica il braccio ferito. Io gli carezzo la nuca traendo un flebile sospiro.

Ibarra de la Peña Varona ci guarda. Pare a disagio.

"Ciccio", gli domando, "le nostre effusioni mica v'imbarazzano?"

Il florido giovanotto si sfila la papalina e inizia a grattarsi la parrucca.

"Affatto, cavaliere. È che non so da dove cominciare a narrarvi l'infinita sequela delle mie ambasce."

"Ogni racconto ha la sua trama. Dipanarne il filo non è impresa difficile, credetemi."

Ibarra de la Peña Varona smette di grattarsi la parrucca e se l'aggiusta sulla testa alla bellemeglio.

"Conoscete il Pripet, Logan?"

"Certo. È una delle lande più acquitrinose della Terra di Mezzo, regno incontrastato della malaria e dei tafani."

"Da quelle parti però il prezzo dei fondi rustici è decisamente abbordabile non come qui a Ebuda."

Rido.

"Avete delle proprietà laggiù?"

"Sì, una tenuta sui mille acri di superficie."

Yla rinfodera lo stiletto d'argento e s'abbandona languido tra le mie braccia. Ho le nari pervase dal suo profumo e la lingua incartata.

"D-dite un pò, Ciccio: t-tutto quel terreno a che v'è servito?"

"A impiantare un allevamento di suini selezionatissimi."

Yla si scioglie dal mio abbraccio e con un movimento fluido e insistente inizia a premere il bacino contro di me. Ho un'erezione.

"Che porci", sibilo sottovoce.

Il florido giovanotto inarca un sopracciglio.

"Eh?"

Rido di nuovo.

"Che porci: i vostri... ehm... suini selezionatissimi a quale razza appartengono?"

"Duroc e Cinta."

Cerco d'intrufolare una mano tra le gambe del mio imberbe scudiero ma ne sono impedito. Yla ha serrato le cosce e ciò che nascondono le sue brache attillate è divenuto un bastione imprendibile.

"Satàn!", esclamo a denti stretti.

"Che vi prende, cavaliere?" mi chiede Ibarra de la Peña Varona.

"Nulla, assolutamente nulla."

Tiro uno sbuffo.

"Torniamo a noi, Ciccio. Mi pare d'aver capito che volevate dedicarvi alla produzione dei prosciutti."

"Non solo prosciutti, ser Logan, ma anche salami, cotechini, zamponi e culatelli."

"Stavate forse pensando di diversificare i vostri investimenti e di spostarne una parte dall'industria del sesso a quella alimentare?"

"In effetti era questa l'idea."

"Sempre sul sicuro."

"Sempre."

Yla ricomincia a premere il bacino contro di me. Ho i testicoli doloranti e una voglia irrefrenabile di zampillare. Afferro lo scudiero pei lunghi capelli corvini e lo costringo a girare il viso nella mia direzione.

"Tu chi o cosa accidenti sei?", gli domando in un roco sussurro.

Il suo sguardo s'inchioda al mio.

"Io sono ciò che domina tutti i viventi."

Yla accenna un fuggevole sorriso.

"Aleggio intorno a te da quando Sarluma, la strega di Branzag, t'ha risuscitato in quell'antro sperduto dell'Ultima Thule."

Una delle sue mani sfiora il mio mento ispido di barba. Una carezza lieve, quasi impercettibile.

"Io sono la Morte, Ratto, la tua Morte."

Logan's tales
Capo terzo


S'apre la porta dell'Ancora d'oro. Nella locanda ormai deserta compaiono due nuovi avventori, un imberbe monello in brache attillate, giustacuore di cuoio e cappello piumato e un florido giovanotto in parrucca, papalina e giacca lunga a campana.


"Guarda guarda", penso tra me. "Ecco Yla, il mio scudiero, in compagnia d'un cliente. Sento finalmente odor di quattrini."


I due s'accostano al tavolo accanto al camino. Il monello fissa i tagli che ho sul braccio scoperto e accenna un sorriso.


"Ti sei esibito in uno dei tuoi soliti giochetti, eh Ratto?"


M'alzo dalla sedia con estrema lentezza, gl'occhi ridotti a una fessura sottile.


"Avvicinati", ordino a Yla.


Il monello si toglie il cappello e obbedisce. La sua pelle candida ha un vago profumo di vaniglia.


"Il Ratto è morto."


Gli stringo forte entrambe le mani.


"Non chiamarmi mai più così, mai più."


Accosto le mie labbra alle sue, senza baciarle.


"Se solo tu fossi femmina..."


Il monello mi lancia uno sguardo colmo di desiderio.


"Chi ti dice che non lo sia."


Tiro un sospiro.


"Nessuno, proprio nessuno."


Un colpo di tosse.


"Ne avete per molto? Il tempo è moneta, sapete."


È il giovanotto in papalina che parla.


"Avete ragione, messere."


Libero le mani di Yla e le allontano da me, dolcemente.


"Gl'affari anzitutto. Prego, sedetevi."


Il giovanotto in papalina s'accomoda sulla sedia di fronte alla mia.


"Il vostro nome?", gli chiedo mentre torno a sedere.


"Francisco Ibarra de la Peña Varona."


Sbuffo.


"Potrei chiamarvi Ciccio? Lo spagnolo è una lingua che mi sta piuttosto indigesta."


"Regolatevi come meglio credete, cavaliere. Cos'è poi un nome? Parole sparse nel vuoto."


"Filosofo?"


"No, uomo di scienza e inventore. Il dildo vibrante e la vagina meccanica sono miei brevetti."


"Avrete sicuramente accumulato una fortuna."


"Più di quanto possiate immaginare."


"Il sesso è un mercato che non conosce crisi."


"Voi sì che capite l'economia."


"Già, tendo a eccellere in certe materie."


Il mio imberbe scudiero, ritto in piedi dietro di me, avvicina la sua bocca al mio orecchio.


"Messer Ibarra de la Peña Varona ha un problema con un drago delle paludi e abbisogna del nostro aiuto."


"Un drago delle paludi, Ciccio? Siete davvero in grossi guai."


"Ahimé sì, cavaliere."


"Raccontate: perché mai tale rettile v'affligge?"


"È storia lunga, ser Logan."


"Abbiamo tempo. L'alba è ancora lontana."

venerdì 5 agosto 2011


Logan's tales
Capo secondo



Rutteggio.


"Siete sazio, cavaliere?"


Distolgo lo sguardo dal fondo del piatto e sollevo il capo. Red è di fronte a me, ritta in piedi.


"Non ancora."


"Satàn! Avete divorato tre costate di vitello, un galletto arrosto e due cosci d'agnello. Non vi basta?"


"No."


"Messere, voi avete il verme solitario."


Mi stringo nelle spalle e sorrido.


"Debbo contraddirvi, signora. Quest'appetito smodato è colpa vostra."


La locandiera aggrotta la fronte.


"Colpa mia?"


"Certo. Spegnere i vostri bollori è stata impresa molto dispendiosa d'energie. Vi ho concesso il tris. Ricordate?"


Red s'avvicina a dove sono seduto e mi da una sberla colossale.


"Porco."


"Ogni maiale ha le troie che merita."


La locandiera sta per avventarsi di nuovo su di me. Le lancio un'occhiata tra l'irato e il divertito.


"Red, fareste bene a controllare i vostri sbalzi uterini."


Il suo sguardo s'inchioda al mio.


"Altrimenti?"


Mi sfilo la giubba e arrotolo una delle maniche della camicia scoprendo l'avambraccio sinistro fino al gomito.


"Vi garbano le lame affilate?"


La locandiera s'allontana da me, pallida in volto.


"Logan..."


Prendo il pugnale. Lo sguaino dal fodero che tengo appeso sul lato destro del fianco.


"E i tagli elegantemente disegnati sulla pelle nuda?"


Incido la carne esposta. Il sangue cola sul tavolo mischiandosi ai resti della cena.


"Siete pazzo."


Serro le palpebre.


"Voi dite?"


Red gira sui talloni e fugge in cucina.


"Quando ve ne verrà il coraggio", le grido dietro, "non è che potreste servirmi una razione gagliarda dei vostri leggendari biscotti? Ho voglia di dolcezza stasera."

martedì 2 agosto 2011


Logan's tales
Capo primo


Entro nella locanda a passo di carica. Gl'altri avventori mi guardano storto. Qualcuno sputa per terra.


Poso la mano sul calcio della pistola a focile che porto attaccata alla cintura.


"Vi sono problemi?", sibilo.


Nessuno ha il coraggio di ribattere. Che manica di conigli senza spina dorsale!


Mi sfilo dalla testa il grande cappello alla moschettiera dalle piume un tempo spavalde e m'accomodo a uno dei tavoli accanto al camino.


Una donna dai cappelli rossi s'avvicina. È a piedi scalzi e indossa una gonna nera lunga fino ai polpacci e una camicia verde piuttosto scollata. Trattasi di Red, l'avvenente padrona di quella bettola piena di cimici.


"Cavaliere, cos'è che vi conduce all'Ancora d'oro?", mi domanda con un sorriso beffardo stampato sulle labbra.


"La pancia vuota", le rispondo accigliato in viso.


"Avete denaro con voi?"


"No."


"Non posso più farvi credito. Mi dovete cento scudi."


"Salderò il mio debito appena vi sarà un drago da cacciare e uccidere. Abbiate pazienza. È solo questione di giorni."


"Sono stanca di questo ritornello, Logan. Cantatelo a un'altra."


M'alzo dal tavolo con uno scatto fulmineo. Afferro la locandiera per le braccia e l'attiro a me. La mia stretta è una morsa che non lascia scampo.


"Red, ve la sentireste di concordare con il sottoscritto una forma di pagamento in natura che potrebbe avere dei risvolti molto piacevoli per entrambi?"


La donna mi fissa. I suoi occhi ambrati scintillano.


"Cosa intendete dire?"


Accosto la mia bocca alla sua.


"Indovinate..."

giovedì 21 luglio 2011


Brucia i copertoni, non la tua anima



Infilo la porta girevole dell'Hotel Londra ed entro nella hall. Punto dritto verso la conciergerie dove m'attende il portiere del turno di notte, la brunetta cogl'occhiali a cui do sempre mance, sorrisi, e buffetti sulle gote.

"Hi, sweetie."

"Hi, sir."

Inspiro e gonfio il torace esibendo i pettorali nascosti dalla camicia nera a maniche corte comperata dal cinese di Porta Pila 1. 

"Ho appuntamento colla signora della suite trecentotredici. Potrebbe annunziarle che l'aspetto al bar? Unn'ho voglia di pigliare l'ascensore."

La ragazza sorride.

"Certo, sir."

Metto mano al portafogli. Allungo alla bimba una banconota da venti euro bella frusciante.

"Hyvä!"

Lascio la reception per transitare nel bar. Scorgo uno sgabello libero. Mi c'appollaio sopra lanciando alla bionda dietro il banco uno smagliante sorriso a centodue denti.

"Bonsoir, mon trésor."

"Bonsoir à vous, monsieur."

Schiocco la lingua.

"Urge uno champagnino. Ho sete."

La barista mi strizza l'occhio.

"Bollinger millésime quatre-vingt-dix-sept?"

M'illumino d'entusiasmo.

"Oui bien sûr!"

La bionda estrae dal frigo lo champagne e lo stappa facendo il botto. Me ne versa poi tre dita in un'elegante coppa di cristallo.

"Sava, monsieur?"

Bevo un piccolo sorso e fisso la barista nelle palle degl'occhi.

"Sava."

Centellino altro champagne. Uno stormo di bollicine inebrianti mi pizzica il naso e la bocca dello stomaco. Uh, che sballo!

"Il solito sorcio", sibila una voce alla mia sinistra. Giro lo sguardo. Ti vedo. Sei fasciata in un abito pantalone Fiorucci nero pece che ti lascia scoperte spalle e braccia. Tra le mani stringi una pochette Bulgari a doppia fibbia e veleggi su dei sandali Giuseppe Zanotti d'una bruttezza mai vista. Hai i lunghi capelli bruni pettinati all'indietro e un make up dai toni sfumati con molto mascara sulle ciglia. Non porti collane o bracciali ma solo un paio d'orecchini con brillante.



"Hai un look da urlo, sister, nonostante le calighe da legionario."

Ti siedi sullo sgabello accanto al mio. Sbuffi.

"Non cominciare, bro."

Rido.

"Già finito."

Scolo gl'ultimi rimasugli del millésime e poso sul banco la coppa di cristallo.

"Aperello, sister? Un Garibaldi magari o un Bairiki?"

Storci il naso.

"Niente Bairiki, bro. Vada per il Garibaldi."

"As you like."

Mi rivolgo alla bionda sorridendole sempre a centodue denti.

"Un Garibaldi e uno champagnino bis."

"Subito, monsieur."

La barista ci serve quanto ordinato. Levo la coppa al cielo.

"Kippis, sister!"

T'unisci al brindisi.

"Kippis, bro!"

Ingollo il millésime tutto d'un fiato e mi passo sulle labbra il dorso della mano sinistra. Abbandono quindi sul banco la coppa ormai orfana del suo champagne e mi metto a sbirciare dentro la scollatura del tuo abito pantalone. Non distinguo bene. Senz'occhiali i dettagli mi sfuggono. Mannaggia all'età che avanza, mannaggia!

"Che guardi?"

Alzo le spalle. Rido.

"Nulla, sister. Ero immerso nei miei pensieri."

Scuoti la testa.

"Sì certo come no."

Controllo il kienzle che ho al polso.

"È ora di telare, sister. Incombe la cena. Ho un tavolo prenotato per le nove."

Finisci il Garibaldi e porgi il bicchiere alla bionda.

"Dove si va?"

"In Via dei Neri, dal giapponese. M'è venuta voglia di fugu 2 ."

Mi fissi.

"Rischi la ghirba se mangi quel sushi. Lo sai?"

Scendo dallo sgabello e pago il conto degl'aperelli lasciando alla barista una mancia stratosferica.

"Non temo la morte, sister."

T'afferro una mano e ti tiro giù dallo sgabello per trascinarti via con me verso la porta girevole dell'albergo. Canto a squarciagola, scosso da un impeto travolgente.

"A freddo, garibaldini! Avanti, avanti, avanti, urrà 3 !"

Mi segui senza profferire parola, divertita dalla piega che ha preso la situazione.

Usciamo dall'hotel e ci troviamo di fronte una Cinquecento parcheggiata cafonescamente sul marciapiede. Trattasi d'una TwinAir Plus Turbo nuova fiammante. È blu carismatico e monta i cerchi in lega da sedici Matt Black.

"È tua?", mi domandi appena sfiori la portiera del passeggero.

"No", ti rispondo. "Oggi sono in due ruote."

Oltrepasso la suddetta macchina da pischelli e balzo in sella al motorino che si trova dietro la Cinquecento togliendolo dal cavalletto su cui era alzato. È un reliquato del boom economico degl'anni sessanta, verde di telaio, rosso di serbatoio e parafanghi e tutta ruggine quanto a fanale, manubrio, freni, marmitta e ammortizzatori.

"Ti garba, sister?"

Inarchi le sopracciglia viepiù perplessa.

"Dove cavolo sei andato a pescare quest'aggeggio?"

Rido.

"Dal garage di casa nuova."

"Che modello è?"

"Un Gabbiano Gioiello tre marce, quarantotto di cilindrata."

Apro la condotta del serbatoio. La miscela affluisce nel carburatore accompagnata dai soliti vapori puzzolenti. Tiro l'aria. Spingo il pedale dell'avviamento. Niente. Il motore Minarelli si limita a borbottare stancamente. Insisto. Do al pedale dell'avviamento una spinta più decisa. Evviva! Il motore Minarelli s'accende e sale di giri con un frastuono assordante a causa della marmitta priva di silenziatore.

"Let's make a move, sister. Altrimenti si fredda il misoshiru  ."

Sgasso. Il Gabbiano romba come uno stuka in picchiata.

"Dove devo mettermi? Mica l'ho capito."

Altra sgassata, altro rombo da stuka in picchiata.

"Sul portapacchi, dietro."

"I piedi, bro, quelli dove li poso?"

Urlo per vincere il fracasso del motore.

"Il destro sulla marmitta, il sinistro sulla carena che copre la catena."

"Mi pare una posizione scomoda."

Aziono la leva della frizione. Ingrano la prima con una grattata colossale.

"Starai meglio di quanto pensi, sister. Fidati."

Infili la pochette Bulgari nella scollatura dell'abito pantalone e ti sistemi sul portapacchi avvinghiando te stessa alla mia gabbia toracica.

"Tieniti forte, sister, si parte!"

Stacco la frizione. Il Gabbiano schizza in avanti con una ripresa sorprendente.

"Tenno eika banzai!", grido mentr'innesto la seconda.

Tu mi pianti nel petto le tue unghie da gatta.
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1 Porta Palazzo.
2 Pesce palla.
3 Strofa tratta dalla "Garibaldina", il grido di guerra dei volontari italiani, di Francesco Dell'Ongaro ed Emilio Pieraccini.
4 Zuppa di soia fermentata.