Logan's tales
Capo quinto
Ibarra de la Peña Varona ci fissa entrambi viepiù a disagio. Poi si rimette la papalina sulla parrucca e s'abbandona a un gesto di scongiuro facendo le corna con una rapida manovra della mano destra.
"Vi vedo turbato, Ciccio", gli fo colla voce ancora roca. "Perché mai?"
"Quant'affermato dal vostro famiglio circa la morte m'inquieta oltremodo."
Ho un sogghigno.
"Yla tende sempre al dramma, messere. Credetemi. Le circostanze che portarono alla mia... ehm.. resurrezione sono meno brutte di quello che sembra."
"Veramente?"
"Certo."
Mollo la presa sui capelli del mio compagno d'avventure e gli batto una mano sulla schiena.
"Yla..."
"Sì?"
"Racconta a messer Ibarra de la Peña Varona come fui trascinato in questo reame favoloso chiamato con poca fantasia Terra di Mezzo."
"Tutta la storia per filo e per segno?"
"Certo, non tacere nulla."
L'imberbe monello s'alza dalle mie ginocchia e torna in piedi dietro di me. Posa le sue mani sulle mie spalle con fare protettivo.
"Tanto tempo fa in un universo lontano esisteva un uomo. Era carne, sangue, ossa. Un giorno d'inverno subì però una strana metamorfosi. Diventò un personaggio inesistente fatto di parole. Aveva centomila nomi ma era conosciuto ai più come Steelrat, il Ratto d'acciaio. Soleva frequentare le cloache più stomachevoli d'un mondo posticcio che era stato creato da un'arcana magia chiamata Interconnected Networks. La nostra simpatica pantega in armatura la definiva però più semplicemente Cartone a denotare in senso spregiativo il suo carattere fasullo e travisante."
"Satàn, com'ero scatenato!", sbotto. "Navigavo notte e dì pei perigliosi mari del vizio computerizzato seminando vento e raccogliendo tempesta."
"Dopo aver trascorso alcuni anni impegnato in quella futile attività", continua Yla, "il Ratto decise di cambiare registro. Era stanco, annoiato, voleva tornare a essere uomo. Fu così che una sera d'autunno dipartì con grande apparato di mezzi togliendosi dal Cartone."
"Ebbi un bellissimo funerale", aggiungo. "Mi fu persino dedicato un weblog alla memoria con due lumi eterni e un teschio rotante. Vi prego di credermi, Ciccio. Quell'ordigno mortuario fu davvero un mirabolante portento tecnologico."
Ibarra de la Peña Varona ride.
"Vi credo, Logan."
"La nera signora colla falce", prosegue il mio scudiero, "non riuscì tuttavia a ghermire il Ratto per l'eternità. L'Innominata, la burbera fattucchiera che regna sulle desolate lande dell'Ultima Thule, s'invaghì di lui. L'aveva letto nel Cartone e voleva carpirne i segreti divorata da un'insana curiosità. Ingiunse perciò alla strega di Branzag, Sarluma, di riportarlo in vita sotto mentite spoglie, il che avvenne una notte in una tenebrosa caverna sepolta sotto la spessa coltre di ghiaccio dell'estremo nord. Nacque così Logan l'avventuriero. Io vidi la luce la stessa notte. Fui subito posto al suo servizio, legato a lui da chissà quale incantesimo."
"Sapete", fo a Ibarra de la Peña Varona, "ricordo ancora quegl'istanti fatali. Ero ficcato nel Nulla senz'affanni né pene. Poi d'un tratto mi trovo al freddo in una spelonca spoglia e tetra con indosso questi panni da bravo manzoniano. Non potete immaginare, Ciccio, quale fosse la mia confusione. Ero Steelrat e Logan, due personaggi con vicissitudini e storie tutte diverse."
"La strega di Branzag non vi chiarì le idee?"
"No, quel donnone in tunica e mantello era preso da altre faccende."
"Ovvero?"
"Stava manipolando le polveri magiche dalle quali scaturì la birba che vedete qui dietro di me."
"Che genere di polveri?"
"L'ignoro. L'arcano esula dalle mie conoscenze."
Ibarra de la Peña Varona piega la bocca in una smorfia. Pare scettico.
"Sarluma", torna a raccontare Yla, "ci condusse dalla sua padrona. Incontrammo l'Innominata nella sala del trono del suo incredibile castello fatto di diamanti grezzi. Era una virago dai capelli rossi e dallo sguardo leggermente strabico. Incuteva timore paludata nei suoi sfavillanti paramenti stregoneschi."
"Era comunque femmina dotata d'interessanti attrattive", preciso. "Vi posso garantire, Ciccio, che aveva un seno opulento e un fondoschiena d'un'altezzosa rotondità. L'unica sua pecca erano le mani. Le sentivi al tatto ruvide e secche."
"Com'avrete certo intuito", continua il mio compagno d'avventure rivolto a Ibarra de la Peña Varona, "la fattucchiera e il Ratto intrecciarono ben presto una relazione carnale molto intensa. L'Innominata l'aveva accolto nel suo letto perché aveva saputo risvegliare in lei brame e desideri che non provava da tempo. Gl'amanti che aveva sperimentato prima di lui, salvo qualche rara eccezione, erano sempre stati dei villani inesperti o degl'orchi abominevoli non in grado di stimolare la sua contorta quanto famelica libido. V'erano dei giorni in cui non riusciva a contenersi. Trascinava il Ratto nella sua alcova consunta per giacere con lui fino a fiaccarne le reni. I loro strepiti amorosi s'udivano ovunque nel castello. Persino io che ero stato relegato nelle stalle li sentivo distintamente."
"Questo... uh... idillio ebbe vita lunga?"
"Affatto."
"Cos'accadde?"
"La fattucchiera decise dopo alcuni mesi di rinverdire uno dei suoi vecchi sollazzi."
"Chi fu il fortunato?"
"Quattrocornetti, il tanghero dinoccolato che accudiva i suoi cani."
"L'Innominata ruppe quindi col Ratto."
"Non proprio."
"Sarebbe a dire?"
"Sarebbe a dire che non aveva intenzione di lasciarlo. Era una donna bislacca, sapete. Voleva che restasse suo per l'eternità."
"Davvero?"
"Sì, messere. Fece rinchiudere il Ratto nelle segrete del castello. Passava da lui più volte al giorno per assillarlo coi suoi monologhi senza fine. Un supplizio quello che poteva essere concepito solo da una mente incrinata."
"Che agonia, Ciccio!", esclamo. "La maliarda veniva nella mia cella in compagnia dei suoi scherani e mi blaterava contro i discorsi più vari. Rimestava fumo a getto continuo soprattutto quando parlava dell'amore che provava nei miei confronti. Poco mancò che uscissi pazzo."
"Non stento a credervi."
Ibarra de la Peña Varona socchiude le palpebre e mi guarda intensamente.
"Dite, cavaliere, come spezzaste la vostra prigionia?"
Ho un altro sogghigno.
"Fu grazie al mio scudiero."
"Spiegatevi."
"Yla era stato confinato nelle stalle ma godeva d'una certa libertà di movimento. Nessuno gli badava. Era considerato un fanciullino innocuo che sbrigava con efficienza e zelo gl'umili compiti che gli venivano affidati."
"Sono maestro nell'arte della dissimulazione", puntualizza l'imberbe monello alle mie spalle. "Non sono mai ciò che appaio e tengo sempre celati nel profondo i miei veri propositi."
"Una notte", proseguo, "Yla s'introdusse nelle segrete e pugnalò a morte i due bravacci baffuti che sorvegliavano le celle. Fu un'azione rapida e decisa, basata sull'effetto sorpresa."
"In un primo tempo", rincara il mio compagno d'avventure, "avevo pensato di stordire quegli sciagurati con una delle pozioni narcotizzanti che avevo trafugato la notte precedente dal dispensario della strega. Poi scelsi le vie spicciole, più intonate allo stile del Ratto."
"Appena si trovarono le chiavi del bugigattolo in cui ero stato recluso", torno a spiegare, "io fui libero di fuggire. Corsi pertanto nelle stalle dov'escogitai il modo d'evadere dal castello e di volare con Yla fin quaggiù a Ebuda, città in cui decisi di stabilirmi e che elessi a sede dei miei affari. È tutto chiaro ora, Ciccio?"
Ibarra de la Peña Varona scuote la testa.
"Mi sfugge un dettaglio, ser Logan."
"Cioè?"
"Voi e il vostro famiglio non avete poteri magici. Come riusciste a lasciare in volo la rocca dell'Innominata?"
Rido.
"Volete che ve lo mostri, Ciccio?"
"Certamente."
"Venite."
M'alzo dalla sedia ed esco dall'Ancora d'oro per andare nel cortile antistante la locanda seguito da Ibarra de la Peña Varona e dall'imberbe monello. Noto colla coda dell'occhio che Red s'è affacciata sulla soglia della porta incuriosita da quella piccola processione.
"Caro Ciccio", fo a Ibarra de la Peña Varona, "la maliarda ospitava nelle sue stalle un variegato stuolo di quadrupedi tra i quali si contavano alcune creature portentose capaci di librarsi in aria come gl'uccelli. Fu appunto in groppa a una di tali creature che Yla e io partimmo dall'Ultima Thule per queste lande dal clima più temperato."
Sollevo lo sguardo al cielo e grido a perdifiato battendo le mani.
"A me, bestia dannata!"
S'odono delle urla ferine che squarciano il silenzio della notte.
"Vieni, colombo troppo cresciuto, vieni!"
Dalle tenebre che ci sovrastano spunta una creatura spaventevole e superba, con testa e ali d'aquila, zampe artigliate e corpo e coda di cavallo. Picchia a velocità pazza verso di noi minacciando di spazzarci via dal cortile.
Smetto di battere le mani e impugno la pistola a focile che tengo infilata nella cintura. Armo il cane e gliela punto contro continuando a gridare a perdifiato.
"Fermati, gallinaccio decerebrato!"
Prendo la mira. Tiro il grilletto. La pistola esplode il colpo in una fiammata.
La creatura viene ferita di striscio al quarto posteriore destro. Cabra e s'arresta a mezz'aria davanti a me battendo indietro le ali. È inviperita.
"Giù, strambo animale, da bravo!"
La creatura obbedisce e si posa a terra. Io ripongo la pistola scarica.
"Non è una bellezza di mostro, Ciccio? Ammirate il colore del suo mantello. È argento e nero come il cielo colmo di stelle sopra di noi."
Ibarra de la Peña Varona fissa incredulo la terribile creatura piombata dal buio. È divenuta mansueta adesso e sta affilando gl'artigli sui ciottoli del cortile.
"Che bestia è?", mi chiede.
"Un ippogrifo", gli rispondo. "Viene dai monti Rifei dove la strega lo rapì alla madre quand'era ancora cucciolo."
M'accosto al muso del prodigioso animale. Gli carezzo il becco.
"È uno stallone, sapete, piccoso, matto e bislacco come la sua ex padrona."
"Gl'avete dato un nome, cavaliere?"
"Sì."
"Quale?"
Ho l'ennesimo sogghigno.
"Hurrikaani, Uragano."
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