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I racconti qui pubblicati sono inoltre opera di fantasia. Ogni coincidenza con fatti reali e persone fisiche o giuridiche, realmente esistenti, o con enti, società, organizzazioni, gerarchie sia naturali che soprannaturali, è da ritenersi puramente causale.


sabato 19 novembre 2005


Quella cosa



Sono sotto casa tua sull'altro lato della strada. Avevamo appuntamento alle tre. Sono le quattro ed io me ne sto ancora immobile sul marciapiede con lo sguardo perso nel vuoto.



Un trillo. E' il cellullare.



"Pronto."



"E' da un pò che ti osservo dalla finestra. Che combini laggiù? Perché non sali?"



"Non riesco a decidermi."



"Ne abbiamo già parlato, mi pare. Io non ti obbligo a fare quella cosa. Quindi o ti dai una mossa o è meglio che te ne vai."



Click.



Tiro un sospiro, scendo sul marciapiede, attraverso la strada ed entro nel palazzo. La portinaia mi fissa dalla guardiola. La saluto con un cenno della testa e tiro diritto. Sono piuttosto imbarazzato.



Prendo l'ascensore e vo su. Ho le mani sudate. Le asciugo più volte sui jeans.



Esco dalla cabina di nuovo in preda all'indecisione. Sto per tornare indietro quando noto un foglio di quaderno attaccato a una porta socchiusa con un pezzo di scotch rosso.



"FIFONE", c'è scritto a lettere cubitali.



Ho un impeto di coraggio. Afferro il pomo d'ottone della porta, la spalanco e mi fiondo nel tuo appartamento come una saetta.  Chiudo la porta dietro di me. Il soggiorno è deserto. Anche le altre stanze sembrano vuote.



"Dove diavolo sarà andata a cacciarsi?", mi scappa detto. Il silenzio è totale. Sento solo il frastuono del traffico smorzato dai vetri delle finestre.



Un rumore di passi femminili. Tacco quindici o diciassette. Giro il capo alla mia sinistra e ti vedo avanzare verso di me sinuosa come una gatta. Indossi un vestito nero con una profonda scollatura. Hai le gambe nude e calzi un paio di sandali tipo "schiava", neri anch'essi. Hai le unghie dei piedi smaltate di rosso e i lunghi capelli biondi annodati in un algido chignon.



Ti avvicini. Su quei sandali sei più alta di me. Ti arrivo sì e no al naso. Mi carezzi le gote con un frustino da cavallerizzo. Percepisco l'aroma del tuo profumo. Uno chanel, credo.



Ho un groppo in gola. Ti siedi su una delle poltrone del soggiorno. Posi il frustino su un astuccio di cuoio marrone che si trova alla tua destra sul pavimento.



"Spogliati", mi fai stringendo gli occhi.



"Ricciolina..."



"Obbedisci."



Mi tolgo tutto tranne gli slip.



"Sei coperto di peli."



Non so cosa dire. Alcuni anni fa mi sono depilato ma non l'ho più rifatto. Lo trovavo così poco virile.



"Mostrami il pisello. Non vedo l'ora di dargli un'occhiata."



Mi sfilo le mutande e le getto a terra.



"E' moscio."



Stringo i pugni. Voglio diventare duro. Lo voglio disperatamente. Il mio pene, però, resta inerte. Cado vittima dello sconforto.



Accenni un sorriso e apri le gambe. Scorgo il tuo perizoma sotto la gonna. E' nero e trasparente. Ho il fiato corto.



"Non startene lì impalato. Accovacciati tra le mie ginocchia."



Eseguo l'ordine.



"Ti piacciono i miei piedini?"



"Sì."



"Baciameli."



Mi metto all'opera. I sandali sono un impaccio ma non demordo. Ho un'erezione.



"Hai una cappella molto grossa."



Non rispondo. Ho la lingua impegnata.



Una mano imperiosa mi costringe a sollevare la testa.



"Alzati."



Mi tiro su e tu con me.



"Girati."



Ti do la schiena.



Armeggi con l'astuccio. Odo un rumore metallico. Cerco di voltarmi. Tu me lo impedisci.



"Mi vuoi?"



"Sì."



"Con tutto te stesso?"



"Sì."



"Allora metti le mani dietro la schiena e stattene buono."



Fo come dici. Mi serri i polsi con un paio di manette. Ho la pelle d'oca.



Un altro rumore metallico. Cedo al panico.



"Ricciolina, ho paura."



"Non temere, Nemo. E' solo un collare di pelle con una catena. Gli stalloni hanno le briglie. Anche tu devi averle. "



Me lo infili e stringi. Soffoco.



"Non tapparmi la bocca, ti prego. Non lo sopporto."



Scoppi a ridere.



"Bambino caro, non potrei mai. La tua lingua mi serve. Tu sei uno dei pochi che sa usarla in maniera sopraffina. "



Mi stringi a te. Avverto chiaramente i tuoi seni turgidi e sodi contro di me. Colo come un rubinetto che perde.



"Mettiti gattoni."



Ho un attimo di esitazione.



"Obbedisci."



Mi getto sul pavimento faccia a terra. Vedo solo i tuoi sandali neri.



Tiri il guinzaglio. Uno strattone deciso.



"Andiamo."



"Dove mi porti?"



"In cucina. Ti aspetta una formidabile merenda."

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