A Happy New Year
Auguro ai miei pochi lettori un felicissimo anno nuovo.
Ho la vista appannata e son mezzo sbronzo. Non vedo l'ora d'infilarmi sotto le coperte.
Music
I miei gusti in fatto di musica son parecchio bislacchi. Passo da Beetoven alle Bananarama con molta disinvoltura. E questo il mio refrain preferito:
Tiens, voilà du bodin, voilà du bodin, voilà du bodin,
Pour les Alsaciens, les Suisses et les Lorrains,
Pour les Belges, y en a plus,
Pour les Belges, y en a plus,
Ce sont des tireurs au cul.
La Legione è un'altra delle mie "fisse". L'Armée non m'arruola però. Sarei troppo vecchio per certe imprese. Mah!
Marines e samuraie
Torno al fumetto di prima. Non sapevo leggere ma la trama riuscii a seguirla lo stesso. Cinque marines vengon fatti prigioneri dai giapponesi e rinchiusi in un campo di concentramento. Colà devono vedersela con un'ufficialessa provvista di frusta e catana che gliene combina di tutti i colori. Uno sballo per un rattuccio di latta com'ero io all'epoca.
Eros e fumetti
Mi sono accostato alla pornografia in tenera età. Ho sfogliato il primo fumetto erotico a cinque anni dopo averlo sottratto a una certa "collezione" *. Ero eccitato ma non capivo perché. Il motivo l'avrei scoperto qualche anno più tardi sbirciando dal barbiere alcune riviste illustrate molto interessanti.
* La "collezione" da me saccheggiata, tengo a precisare, apparteneva a uno stimato profesionista che era amico dei miei genitori.
Dolore e sofferenza
Dialogo intercorso tra Steelrat e il Cattivo Tenente qualche tempo fa.
- O sadico, come butta?
- Male.
- Mi spiace.
- A me no.
- O perché?
- Non mi va di spiegartelo.
- Non fare il grullo. Rispondi.
- Il dolore e la sofferenza rendono forti. Basta non cadere nello sconforto.
- Puttanate.
- Puttanate, bestia dannata? Prova a riflettere e mi darai ragione.
- Mmm... Quando cogiti, te sei peggio del Signor Capo.
Penne o spaghetti?
In seconda liceo a me e ad alcune delle mie compagne di classe capitò di parlare di sesso con la professoressa d'italiano. I termini esatti della discussione non li ricordo più. La conclusione sì: conoscersi intimamente è come mangiare un piatto di pasta. "Penne o spaghetti?", domandai io alle mie graziose interlocutrici. Non ebbi risposta.
Fragole e ciliegie
E' aprile. Il sole splende nel cielo terso. Un filo di vento agita le pagine del libro che ho con me. Sto cercando di leggerlo da ore ma non riesco a concentrarmi. Ho il cervello e il cuore imballati.
Sono seduto su una panchina. Di fronte a me si profilano le rovine imponenti delle Terme di Caracalla. "Il giardino delle meraviglie di Merja", penso digrignando i denti. "Mi avrà trascinato qui non so quante volte."
Chiudo gli occhi e tiro un sospiro. La mia anima è logora e sfinita. Vorrei cadere nel nulla e rimanervi azzerato per sempre.
Odo dei passi che si avvicinano. Apro gli occhi, alzo il capo e ti vedo. Sei in scarpe da ginnastica e hai su dei jeans molto stretti e una felpina bianca con zip, tasconi e cappuccio.
"Ciao", ti fo dopo essermi sollevato in piedi.
Mi fissi senza parlare.
"Il silenzio è assordante tanto quanto mille voci insieme."
Sorridi.
"Sei il solito scemo."
"Bischero, per favore, non scemo."
"E la differenza in che consisterebbe, scusa?"
"Nelle parole."
Sbuffi.
"Hai voglia di giocare?"
Ti carezzo i lunghi capelli castani.
"No."
Mi fissi di nuovo. I tuoi occhi verdemare hanno un che d'ipnotico.
"Oggi chi sei? Il Ratto non credo."
"Indovina."
Ti sfioro le labbra con le mie. Sai di fragole e ciliegie.
Kirsi *
Una parola gentile sussurrata dolcemente.
* E' finnico. Tradotto in italiano significa "ciliegia". E' anche nome proprio femminile. Di Kirsi ne ho conosciute due. La seconda era una specie di cowboy in gonnella. Studiava legge a Helsinki e proveniva da una famiglia di agricoltori stabilitisi in Lapponia da tempi immemorabili.
Precisazioni
Oggi sono in vena di precisazioni. Eccovene alcune.
L'idea che si ha di una persona, il più delle volte, si rivela una vana illusione.
A me piace raccontare, non scrivere.
Destesto la comunicazione che è puro contenuto.
Ho dei guizzi letterari irrefrenabili.
Mi ficco negli inbox altrui perché son diventato un e-maildipendente.
Conosco gente rispettabile che ha manie peggiori delle mie.
A quel paese ci vo spesso.
Non ho mai promesso leccatine a chicchessia pur avendo lavorato all'Algida e alla Sammontana.
Linko chi me lo chiede o chi me ne da il permesso.
Regalo carezze e baci perugina.
Io, in questo mondo di cartone, sono e, al contempo, non sono.
Ogni mio "io" è parte di me e quindi, pur mutando, son sempre lo stesso.
Amo i paradossi e i paradossi amano me.
I ratti son meglio dei camaleonti. Hanno più stile e simpatia.
Le donne non mi danno acidità. I peperoni sì.
Son tenente. Ho due stelle. Era inevitabile che finissi per incocciare la Sceriffa che di stelle ne ha una sola.
Internet è una merda
Ieri ho avuto l'ennesima riprova che Internet, come mezzo di comunicazione interpersonale, è una merda. O non ci si capisce o ci si fraintende, il che è peggio. Di qui la citazione che sto per regalarvi: "i mezzi meccanici di comunicazione sono molto importanti, ma sono soltanto strumenti ausiliari. Nulla può sostituire l'incontro personale fra esseri umani".
Miscellanea di luoghi comuni
Donna è sinonimo di danno.
Donna al volante pericolo costante *.
Cercare di capire una donna è tempo perso.
Voi uomini servite solo a quello.
* Per la cronaca: da quando ho la patente, sono incorso in due incidenti stradali, entrambi provocati da una gentil fanciulla motorizzata.
Birra, pan carré e salame
E' un'uggiosa domenica pomeriggio di metà dicembre. Ho appuntamento con te alle cinque e sono piuttosto eccitato. E' la prima volta che ti incontro dal vivo e non sto nella pelle.
Sono in alta uniforme invernale: giubba color salmone, pantaloni e papillon blu e camicia bianca con gemelli. Ho i capelli lustri di brillantina e i piedi serrati in delle scarpe inglesi cucite a mano e più dure dell'acciaio balistico.
"Sarà bene che io ti piaccia in questo look da mezza sega", mormoro tra me. "Sennò ti piglio a leccate sulle gote."
Sono alla tua porta. Suono il campanello. Tre trilli da ratto in visita di cortesia.
Mi vieni ad aprire. Indossi una camicetta caki e una gonna plissettata nera lunga fino al ginocchio. Hai le gambe avvolte in dei collant color carne e calzi un paio di ballerine tacco sette molto intriganti.
"Steel, immagino", mi fai mentre, con la mano destra, ti riavvii i riccioli bruni.
"Indovinato."
Mi fissi. I tuoi occhi "verdastri" non sono così brutti come me li avevi dipinti per e-mail.
"Davvero originale la tua giacca. Dove l'hai rimediata?"
"Al mercatino americano di Livorno. Do you like it, sweetie?"
Sorridi.
"Sì."
Ti scruto. Hai un fisico esile ma con tutte le curve al posto giusto.
"Ora che mi vedi di persona, cosa pensi del sottoscritto? Metto paura?"
"No, però ti credevo più vecchio. Quanti anni hai?"
"Meno di zero."
Mi fissi.
"Sei il solito bischero."
"Me lo dicono in parecchi. Chissà perché?"
"Entra. Si gela qui fuori."
Mi accomodo in un ampio salone e do una sbirciatina in giro. Noto nell'ordine: una rampa di scale che sale alle stanze superiori, un tavolino di tek che separa due poltrone da un divano e una porta ad arco che immette in una sala da pranzo spartanamente arredata.
"Bella tana", ti fo. "Vivi con i tuoi?"
"Sì."
"Dove sono?"
"Fuori."
"Quando tornano?"
"Alle otto. Perché vuoi saperlo?"
"Semplice curiosità professionale."
Mi guardi.
"Chiariamo subito un concetto, maniaco. Con me niente sesso. Rassegnati."
"Sicuro?"
"Sicuro."
Mi ficco le mani in tasca e sbuffo.
"Vabbe', Blackie, io ci ho provato come da copione. E ora che si combina?"
"Gradiresti una tazza di tè?"
Scuoto la testa.
"Meglio una birra e, visto che vai in cucina, portami pure due o tre cosucce da ruminare. Ho sempre fame quando una squinzia mi da il due di picche."
"Ti serve qualcos'altro?"
"Sì, ma, per amor dell'italiano, è bene che freni la lingua."
Mi guardi. Stai per aprir bocca ma ci ripensi e scompari nella sala da pranzo. Io mi siedo sul divano. Ho caldo. Così mi levo il papillon e sbottono il collo della camicia.
"Io son tipo da angiporti e non da linde villette", sibilo. "Come posso cavarmi da questo casino senza ferire la mia gentile ospite?"
Comincio a pensare. Le idee, però, latitano. Sudo. Mi tolgo la giubba e i gemelli e arriccio le maniche della camicia fino ai gomiti.
Quando torni da me, sono sullo sbracato andante. Posi un vassoio sul tavolino di tek. Finalmente si mangia. Ti metti comoda sulla poltrona dirimpetto a me.
"Ti ho preparato cinque sandwich al salame. Il pane è a cassetta perché quello casereccio l'avevo finito. Spero ti piacciano."
Piglio un panino e lo ingollo.
"Don't worry, sweetie, mi garbano uno sballo."
Ne afferro un altro e lo divoro.
"Mangi come un cafone."
"Lo so."
"Non conosci le buone maniere?"
"Oggi no."
Mi fissi e ti batti il capo con l'indice della mano sinistra.
"Sei matto come un cavallo."
"P.d."
"Eh?"
"P.d.: può darsi. A volte è meglio parlar per sigle."
Accavalli le gambe. La gonna plissettata sale dove non dovrebbe. Sgrano gli occhi. Mi è venuta una sete improvvisa.
"Blackie?"
"Oh?"
"Ho la gola secca. Passami la birra, please."
Scavalli le gambe, ti chini sul tavolino e pigli l'Heineken che si trova sul vassoio. Mi scappa un risolino.
"Perché ridi?", mi domandi. Ti sei alzata in piedi, la bottiglietta di birra stretta nelle mani.
"Ho dato una sbirciatina al tuo tesoro. E' celato dietro delle mutandine a cuori che sono la fine del mondo. Dove posso andarle a comprare? Vorrei farne un regalo di natale a tutte le bimbe che mi vogliono bene, virtuali e non."
Piazzale Loreto numero 9
Sono le tre di mattina. Ho fame, freddo e sonno. Ficco le mani nelle tasche ventrali del mio giubbotto da pilota e mi metto a camminare lungo il marciapiede verso il luogo del rendez-vous. Piazzale Loreto è deserto tranne che per un paio di puttane e i soliti afficionados.
"Milan est toujour Milan", mormoro. "Bella di giorno, cupa e tenebrosa di notte."
Mi fermo. Sono arrivato al civico 9, dove mi avevi detto di aspettarti. Tiro un sospiro. Non vedo l'ora di incontrarti. Da quando siamo amici di tastiera, muoio dalla voglia di capire chi sei e cosa esattamente mi attrae in te.
Ho la schiena e le gambe indolenzite. Per venire fin lì da Firenze mi sono fatto con la mia Ypsilon "nove più uno" l'autosole e relativi cantieri, la tangenziale est, uno svincolo, tre strade, due piazze e una stradina a esse.
"Porca manetta", penso. "Non ho più il fisico per reggere simili pazzie. La vita da bertuccia dello Yukon che vo conducendo da qualche mese a questa parte mi ha proprio rammollito."
Odo un rombo di motore e uno stridio di gomme. Volto la testa nella direzione del rumore e scorgo una Saab Sport Sedan grigio argento che si è appena infilata nel Piazzale da Via Battaglia.
"Quelle bagnole!", sibilo. "Io, però, una femmina del tuo calibro me l'ero immaginata su un'Aston Martin Vanquish nero metalizzato."
La Saab si arresta a pochi metri da me e accende le luci d'emergenza. Mi scappa un sorriso.
"Brava bambina", mormoro. "Bisogna sempre rispettare il Nuovo Codice della Strada. Sennò sono cazzi molto acidi. Te lo dice uno che, in certe materie, ne sa più di te."
La vettura grigia spegne il motore. Si apre lo sportello di sinistra. Ne scendi tu e mi fissi. I tuoi occhi sono un pozzo di tenebra.
Ti avvicini. Hai intorno al collo una sciarpa di cashmere rossa e indossi un cappotto nero e dei pantaloni "à la mâle", dello stesso colore. Sei senza guanti e calzi un paio di stivali tacco otto.
Siamo l'una di fronte all'altro, naso contro naso.
"Così tu saresti lo Steelrat", mi fai.
"In carne e ossa."
"Mi sembri uno come tanti."
Ho un sogghigno.
"Può essere."
Mi dai una sberla.
"Regola numero uno, baby: qui comando io."
Ho un altro sogghigno e ti mollo due ceffoni, uno più forte dell'altro.
"Regola numero due: non chiamarmi baby. Regola numero tre: comandi tu perché sono io che te lo permetto."
Stringi i tuoi stupendi occhi scuri e mi dai una seconda sberla.
"Regola numero quattro: tu devi parlare solo quando interrogato. Capito, ratto dei miei fondelli?"
Ti rimollo un ceffone.
"Regola numero cinque: la lingua è mia e la gestisco come meglio credo."
Allunghi una mano verso di me e mi graffi una guancia con le tue unghie smaltate di rosso.
"Regola numero sei: devi obbedirmi senza discutere."
Ti afferro per la gola e stringo. Sono adirato e, com'era prevedibile, ho snudato le zanne.
"Regola numero sette: il dolore non mi eccita. Mi fa solo incazzare. E se io mi incazzo, gli effetti sono questi."
Allento la presa e ti allontano da me. Ho l'adrenalina a mille e una voglia matta di spaccar teste. Ti guardo. Hai delle cosce che sono una delizia. Ho l'acquolina. Devo deglutire.
Cala il silenzio. Tu fissi me e io fisso te. Vorrei riempirmi del tuo sapore ma mi trattengo. Basta una mossa sbagliata da parte tua e io esploderei di nuovo con chissà quali conseguenze.
"Steel?"
Insipiro e espiro profondamente.
"Dimmi."
"Forse è più saggio non darsi nessuna regola."
"Je suis d'accord, ma sœur. Pigliamo le cose come vengono."
Mi carezzi la gota ferita.
"Ti ho fatto male?"
"Un pò. E a te è piaciuta la mia morsa d'acciaio?"
Sorridi.
"Sì, l'ho trovata molto stimolante."
Do un'occhiata all'orologio.
"Sono le quattro e io me ne devo tornare a casa di corsa. I nostri affarucci è meglio rimandarli al prossimo incontro, ok?"
Annuisci con un cenno del capo.
"Ti ho prenotato una camera all'Hotel Londra di Firenze. La numero trecentotredici. Vediamoci lì quando hai voglia di me. Io, per quella cosa, sono sempre pronto."
Mi guardi dritto negli occhi.
"Scusa, mon frère, ma non mi è chiaro un concetto. Tu quella cosa come intenderesti combinarla? Come un vanilla 1 in luna di miele? Io sotto, tu sopra e vai di ginnastica?"
Ti fisso. Hai una bocca meravigliosa.
"Puoi portarti dietro la tua attrezzatura da campo se proprio non riesci a farne a meno."
"La mia che?"
"La tua attrezzatura da campo: manette, fruste e gingilli vari. Può darsi che ti consenta di usarli su di me o su di te."
Mi vieni addosso come un bulldozer impazzito. Ti resisto a malapena.
"Tu chi accidenti credi di essere?", mi strilli sul muso.
"Uno, nessuno, centomila", ti rispondo mentre, con un'abile mossa, ti stampo un bacino sulla punta del naso.
1 Nota per i non iniziati: per "vanilla" intendesi l'eterosessuale perfetto, il "normale" per eccellenza.
Tre perle di saggezza
Da Le massime del Signor Capo, cit., p. 1000.
I difetti di una persona sono anche le sue qualità migliori.
Le profumerie vendono sogni ed essenze.
I numeri son numeri eccetto lo zero (0) e l'ottantasette (87) *.
* Nota per i non iniziati: l'ottantasette, così come lo intende il Signor Capo, andrebbe letto in verticale e non in orizzontale.
L'empatia
Dialogo avvenuto nel nulla tra il Signor Capo e Nemo (ancora sofferente ma in via di guarigione)
- Amico mio, come stai?
- Meglio di ieri ma ho sempre delle ricadute. Continuo a pensare a lei, capisci?
- Studia. Vedrai che passa.
- Non posso. Ho il cervello imballato.
- Naufrago?
- Oh?
- Lo sai cos'è che ti frega?
- No.
- L'empatia.
Pane e Cicciolina
Io son cresciuto a pane e Cicciolina. L'Ilona, quand'ero ragazzino, la vedevi ovunque. Poi è venuta la Moana ma quella è un'altra storia. Comunque sia, la mia attrice preferita era la Ileana Carisio, alias Ramba *. Il suo Schmeisser m.p. ** 38/40 con calcio ripiegabile m'è rimasto impresso.
* Parla il Doctorcock: la bimba era altresì nota sotto il nome di Malù o Ramba Malù. Tempo fa è uscito anche un fumetto su di lei. Era disegnato molto bene, mi pare.
** Nota per i non fissati: "m.p." sta per "machinenpistole", ovvero "pistola mitragliatrice" o giù di lì.
Il No e il Sì
Scambio di battute intervenuto poco fa tra Steelrat e Nemo (un pò meno sofferente vista la recente rinascita)
- Naufrago, com'è? Benino?
- No, son sempre nella merda.
- Ancora non l'hai presa come viene?
- Tu che dici?
- Io non dico nulla. Son Ratto. Lecco e basta.
- Beato te.
- Visto che siam qui, posso farti una domanda?
- Dimmi.
- Com'è il "no" delle donne?
- Un'accetta.
- E il "sì"?
- Una trappola.
- La butti così perché sei ancora amaraggiato.
- Può essere, Ratto, può essere.
Perle di saggezza
Da Le massime del Signor Capo, cit., p. 333 ss.
Il risentimento non porta da nessuna parte. T'avvelena e basta.
Lo scritto è un macigno.
La felicità, quella vera, si ha quando la vita è come vorremmo che fosse.
Uccidere i sogni è una cattiveria.
Meglio soffrire che sentirsi morti dentro.
Il sesso senza un pò di sentimento è solo seme che cola.
Le ragazze più belle sono quelle che, a prima vista, non t'ispirano granché.
Senza titolo
Sono sotto casa tua. Non abbiamo appuntamento ma sono venuto lo stesso. Non riuscivo a starti lontano, proprio non gliela facevo.
Suono il campanello.
"Chi è?", mi chiedi dal citofono.
"Io."
Cala il silenzio.
"Ti sei invitato da te?"
"Sì."
Uno scatto.
"Passa."
Apro il portone e vengo su. Arrivo sul pianerottolo. Mi guardo intorno. Vedo la porta del tuo appartamento. Ha i battenti socchiusi come al solito. Entro e chiudo.
Il corridoio è deserto così come il soggiorno e il cucinotto. Non mi scoraggio. So dove trovarti. Mi precipito in camera.
Stai seduta sul letto, le ginocchia strette tra le mani. Hai i piedi nudi e indossi una felpa rossa e dei jeans stinti. Sei uno splendore.
Mi sistemo sul letto dirimpetto a te. Allungo una mano e ti carezzo una caviglia. La tua pelle è liscia e morbida.
Mi fissi. I tuoi occhi sono un mare in cui mi sarebbe dolce naufragare.
"Nemo?"
Ti guardo. Sono tuo, solo tuo.
"Oh?"
"Non voglio fare sesso."
"Neanch'io."
"Perché sei qui allora?"
"Volevo vederti. Tutto qui."
La spietatezza delle donne
Dialogo intercorso ier notte tra Steelrat e Nemo sofferente.
- Naufrago, sei mogio. O come mai?
- M'è capitata una grave iattura.
- Cioè?
- Mi son scontrato con la spietatezza delle donne.
- Ti sei fatto male?
- Parecchio. Non ho la tua pelle d'acciaio, io.
- Pigliala come viene, bello. E' meglio.
Donne a confronto
Nemo, una volta, uscì con questa frase sibillina: "Angelina è ciò che Fujiko non è." Me e gli altri "io" non l'abbiamo mai capita *. Ci è riuscito solo il Signor Capo dopo essersi chiuso nel suo pensatoio per una settimana intera.
* Scusate il pessimo italiano. Quando si è una moltidudine, ci s'incarta spesso in plurali assurdi.
I sandali tacco diciassette
Sono davanti al portone di casa tua. Ci eravamo dati appuntamento per le otto ma io, come sempre, sono in anticipo di una buona mezzora.
"Icche fo?", penso. "Suono il campanello o aspetto?"
Mi decido e do una bella premuta al bottone dorato sopra il tuo cognome.
"Chi è?", mi chiedi dal citofono.
"Son io."
"Io chi?"
"Uno, nessuno, centomila."
"Sei il solito bischero."
"Già."
Cala un silenzio assordante. Fisso il campanello in cerca di chissà che.
"Ratto?"
"Eh?"
"Piglia le scale. L'ascensore è rotto."
Uno scatto. Il portone si è aperto.
"Hyvä!"
Fo le scale a due a due e, quand'arrivo sul pianerottolo del terzo piano, sono senza fiato. Mi guardo intorno. Noto una porta coi battenti socchiusi. E' quella del tuo appartamento. Entro a passo di tamburo e chiudo. Il corridoio è deserto così come il soggiorno e il cucinotto.
"Ohi", mormoro. "Sento odor di manette."
Sto per girare sui tacchi quando vedo un foglio di quaderno. E' appeso alla porta della camera da letto con un pezzo di scotch rosso.
"FIFONE", c'è scritto a lettere cubitali.
Inghiotto a vuoto.
"Angelina", penso. "Non farmi questo, ti prego."
"Ratto?", ti sento dire da dietro la porta.
"Oh?"
"Son qui tutta per te."
Tiro un sospiro e apro la porta. Tu sei piantata in mezzo alla stanza di fronte al letto. Hai i lunghi capelli corvini sciolti sulle spalle e indossi una sottoveste bluette molto fine. L'aroma del tuo del tuo profumo è tremendamente sexy.
Mi fissi. I tuoi occhi neri mi strizzano l'anima. Ho un groppo in gola.
"Non ho messo i sandali tacco diciassette", mi fai con un filo di voce. "Ti secca?"
Ti fisso a mia volta. Sei una creatura adorabile con o senza certi orpelli.
"No."
"Sicuro?"
"Sicurissimo."
Feticcio
Dal Dizionario etimologico online.
Feticcio fr. fétiche; sp. hechizo (per fechizo): dal port. fetiço, che trae dal lat. factìtium fatticcio, manufatto, artificiale da fàctum, fatto, (cfr. Fattizio) e che in portoghese ha preso al sostantivo il signific. d'incantesimo, di sortilegio, donde quello di oggetto incantato (cfr. Fattura). L'origine da FADA fata indicata da altri è sbagliata. _ Idolo grossolano (animale, pietra, pianta e simili), che adorano i negri delle coste occidentali dell'Africa e anche dell'interno fino alla Nubia.
[Nome venuto dal Portogallo, patria di noti e intrepidi viaggiatori].
Deriv. Feticismo; Feticista.
A scuola di finnico (terza lezione bis dedicata ai fissati di tutti i generi)
Onko sinulla pisamia rinnassa?
Ce le hai le lentiggini sulle poppe?
Saanko purra sinua?
Posso darti un morso? La formula qui utilizzata è molto cortese.
Saanko naida sinua?
Posso scopare con te? La cortesia della formula è quella di prima.
Simona
Dialogo intercorso qualche anno fa tra me e una sexy centralinista molto simpatica.
Ciao, io sono Simona. Tu come ti chiami?
Nessuno.
Nessuno?
Sì, Nessuno.
S'ode un fruscio. E' rimasta senza parole. A volte fo quest'effetto.
Da dove chiami?
Da Firenze. Però mi sento parecchio finlandese.
Un altro fruscio. Adesso non sa più da che verso pigliarmi.
Quanti anni hai?
Uno in più dell'anno scorso.
Hai voglia di coglionare?
No, voglio eccitarmi. Aiutami, ti prego.
Ricominciamo daccapo, ok?
Hyvä.
Si pronuncia "uva" o giù di lì.
Eh?
E' finnico. Significa "va bene".
Io mi chiamo Simona. E tu?
Nessuno.
Un sospiro, forse di rassegnazione.
Quanti anni hai?
Ventisette.
Da dove chiami?
Da Firenze. E tu da dove parli?
Da Milano.
Son stato militare da quelle parti. Fate un risotto che è la fine del mondo. Sai cucinare?
Un poco.
Cosa?
Di tutto un pò.
Brava. Lo sai come dice il proverbio? "Femmina cuciniera pigliala per mugliera; femmina piccante pigliala per amante". O era mogliera? Boh?
Lavori?
No, studio. E tu?
Anch'io. Fo giurisprudenza.
Giurisprudenza? Io ero iscritto a Giurisprudenza, poi son passato a Scienze Politiche. Sei in pari con gli esami?
No. E tu?
Sì, sto scrivendo la tesi.
Quando pensi di laurearti?
Non lo so. E tu?
Quando finisco gli esami. E' dura però. Questo part-time mi massacra. Ho degli orari assurdi. Stanotte, per esempio, devo star su fino alle cinque.
La vita è una merda, eh?
Già.
Che tempo fa lassù a Milano?
Uno schifo. E lì a Firenze?
Uno schifo anche qui.
Come sei fatto?
Moro, occhi castani, molto peloso. Ti vo bene?
Sì, mi piacciono gli uomini villosi.
E tu come sei?
Bionda, occhi verdi, quarta di reggiseno. E ho la passerina depilata. Ti vo bene?
No.
Perché?
Perché non sei qui, ecco perché.
Il rapportino
E' un torrido pomeriggio di luglio. Camera mia è peggio della sauna di Merja. Sono in slip e maglietta. Do un'occhiata al mio orologio, uno swatch blu che sembra un giocattolo da bambini. Sono le quattro meno tre.
"E' meglio che mi prepari", penso. "Manca poco all'ora zero."
Mi sfilo le mutande. Vo all'armadio e, a gambe larghe, mi piazzo davanti allo specchio dell'anta di centro. Il mio pene si rizza. E' una settimana che non verso una goccia di seme e la mia voglia è divenuta un fiume straripante.
Do un'altra occhiata all'orologio. Sono le quattro in punto. Un trillo. Mi precipito al tavolo del PC. Afferro il cellullare. Mi hai appena inviato un SMS.
"Sono al portone", leggo sul display. "Fammi salire, ti prego."
Vo al videocitofono. Aziono il monitor. Ti vedo. Indossi una minigonna e un top attillato e calzi un paio di sandali con i tacchi a stiletto.
"Se pensi di rabbonirmi con la tua mise da sgualdrina", mormoro. "Ti sbagli di grosso."
Apro il portone e il portoncino blindato che da sul pianerottolo e torno in camera. All'eccitazione si è aggiunta l'ira. La mia metà oscura sta prendendo il sopravvento.
Mi piazzo di nuovo davanti allo specchio. Sono sempre duro e colo. Ho la fronte grondante di sudore. Mi levo la maglietta e me la passo sul viso. Tiro un profondo sospiro.
Un rumore soffocato mi dice che hai chiuso il portoncino. Vorrei venirti incontro ma non mi sposto di un millimetro. Ho lo sguardo puntato sull'immagine del mio pene eretto.
"Signor tenente?", mi fai da dietro le spalle.
Mi volto verso di te, scaglio la maglietta sul pavimento e ti do un ceffone a mano aperta. Hai le lacrime agli occhi.
"Perché?"
"Il rapportino."
Mi fissi. I tuoi occhi verde smeraldo luccicano.
"Ieri ho avuto degli impicci sul lavoro e non glielo fatta a mandartelo per e-mail. Perdonami."
Un altro ceffone.
"Come devi chiamarmi, Ricciolina?"
"S-signor tenente."
Ti guardo. Mi eccita vederti con le gote rigate di pianto.
"Spogliati."
Ti sfili il top, il reggiseno e la minigonna. Resti in sandali e perizoma.
"Spogliati, cazzo!"
"No."
Ti lancio il solito sguardo cattivo.
"La mia pazienza è al limite, ti avverto."
Mi fissi con aria di sfida.
"Sei una mezza cartuccia ...signor tenente."
Ti afferro per il collo e stringo. Strabuzzi gli occhi.
"Ti decidi?"
Fai di sì con un cenno del capo. Ti lascio andare. Mi guardi tra le gambe.
"E' piccolo."
Stringo i pugni. Mi tengo a stento.
"Levati il perizoma e sdraiati sul letto. Questa scaramuccia si è protratta più del necessario."
"I sandali devo togliermeli?"
"No."
"Come devo mettermi?"
"Supina."
Esegui l'ordine con una lentezza esasperante. Io apro l'anta di centro dell'armadio, quella con lo specchio. Frugo tra i cappelli.
"Ricciolina..."
"Comandi, signor tenente."
Il tono della tua voce ha un che di presa in giro.
"A te piacciono i grossi calibri, vero?"
"Signorsì."
Sempre lo stesso tono. Non ti rendi conto che scherzi con il fuoco.
"Ho una cosina per te."
Ti mostro la 92. Tu la fissi senza timore.
"Ricordi il gioco che mi fu insegnato a Mogadiscio?"
Annuisci in silenzio.
"Oggi lo ripeteremo con una variante che lo renderà ancora più divertente."
"Di che variante parli?"
Levo la sicura e scarello.
"Stavolta la pistola avrà il colpo in canna. Apri bene le cosce, Ricciolina, e non muovere un muscolo."
Mi guardi e sorridi.
"Non hai abbastanza fegato per tentare un azzardo del genere."
Mi avvicino al letto, la 92 in pugno.
"Vogliamo scommettere?"