Avviso ai naviganti


Questo blog contiene testi e immagini la cui fruizione è adatta esclusivamente a un pubblico adulto e consapevole.


I racconti qui pubblicati sono inoltre opera di fantasia. Ogni coincidenza con fatti reali e persone fisiche o giuridiche, realmente esistenti, o con enti, società, organizzazioni, gerarchie sia naturali che soprannaturali, è da ritenersi puramente causale.


lunedì 23 novembre 2009


Mannaggia li punti interrogativi

Tu sfrusci, Ciumache'.

Mo' sei qui.

Poi stai lì.

A vorte in su.

A vorte in giù.

Me cerchi.

Te trovo.

Fuggi.

Te pijo.

Scappi.

T'aripijo e t'abbranco.

Baci.

Tanti baci.

venerdì 10 luglio 2009


Dove non c'incontreremo mai



(segue)



Mi lancio dal tram e balzo sulla banchina con un'elegante piroetta. Il tredici barrato riprende la sua corsa come se avesse il diavolo alle calcagna.



Giro lo sguardo e aguzzo gl'occhi. Scorgo il monumento al Duca Invitto 9.



"Sapristi", sbotto. "Je suis encore à Turin."



Odo il rombo d'un motore a pistoni. Proviene dal cielo sopra Piazza Castello. Alzo lo sguardo. Un Cessna Skyhawk bianco a righe rosse sta sorvolando a bassa quota il centro della capitale subalpina e traina in coda un lungo striscione che ha su questa scritta cubitale: "'O BARBIERE TE FA BELLO, 'O VINE TE FA GUAPPO, 'A FEMMENA TE FA FESSO 10."



Riporto gl'occhi a terra e sorrido. Indi, agile e snello come un levriero, m'involo sotto i portici di Via Po.



_____________



9 Emanuele Filiberto di Savoia Aosta.



10 Il barbiere ti fa bello, il vino ti rende spavaldo, la donna ti fa fesso.

domenica 29 marzo 2009


Dove non c'incontreremo mai



Ho preso il Freccia Rossa delle sedici e quarantanove e sono corso a Torino. Tre ore e mezzo di masochismo ferroviario, vissuto col panorama oltre i finestrini del treno quasi sempre azzerato dal buio. Il sole l'ho visto infatti morire in Emilia da qualche parte dopo Bologna.



Stazione di Porta Susa, binario due: la meta del mio viaggio. Scendo dal supermissile delle FS 1 e controllo lo swatch. Sono le venti e trentaquattro. Arrivo fuori orario, nonostante l'alta velocità. Certe cose non cambiano mai. Eh, sì.



Mi guardo intorno. La banchina è affollata da una turma di passeggeri frettolosi, i fortunati che non hanno come terminal l'inferno metropolitano rappresentato dalla stazione di Porta Nuova. Sbuffo, mi carico sulle spalle il mio borsone Seven azzurro e sprofondo nel sottopasso per riemergere nel salone della biglietteria e uscire in Piazza Diciotto Dicembre 2. Il rumore del traffico m'investe assordante.



"O Turin, mia Turin", canticchio ad alta voce.



Scanso un paio di macchine rombanti e infilo sparato Via Cernaia. Indi, voltando a sinistra, Via Pietro Micca per giungere infine in Piazza Castello. Una marcia a passo di campagna, in parte a cielo aperto, in parte sotto i portici, della durata d'una quindicina di minuti.



Getto a terra il borsone e mi piazzo a gambe larghe di fronte a Palazzo Madama. I passanti mi fissano. Qualcuno ride. Ho su il mio giubbino Blustarr da ricottaro 3 in gita di piacere. La patacca che tengo cucita dietro la schiena recita a lettere maiuscole il grido di battaglia dello Steelrat: "NO WAR! NO DRUGS! SEX EVERYWHERE!"



Giro lo sguardo da sinistra verso destra, lentamente. Dapprima scorgo la Torre Littoria 4, poi te che avanzi nella piazza dal fondo di Via Garibaldi. Sogghigno. Tutto sta avvenendo proprio come m'ero immaginato in chat.



Ti squadro. Hai un look piuttosto aggressivo: capelli tagliati alla maschietta, trucco pesante, jeans attillati, stivali rossi, giubba di pelle dello stesso colore e top nero. Porti a tracolla una borsa d'una griffe che non riesco a identificare. È tutta borchie, zip e gingilli pendenti. Arriccio il naso sul contrariato andante.



"Ciao, Ratto", sibili quando m'arrivi davanti.



Ti do un bacino sulle gote.



"Hola, hermosa!"



Inarchi un sopracciglio.



"Parli spagnolo? E da quando?"



"Saranno due settimane. Tutta colpa della Manola." Accenno un passo di merengue. "È la mia maestra di ballo con tanto di diploma appeso alla parete." Accenno un altro passo di merengue e ti guardo dritto negl'occhi. "C'avevo preso: hai davvero il muso affilato da lupacchiotta ."



Scuoti la testa e ridi.



"Sei un piciu 5."



"Meglio di cupio 6, no?"



Raccolgo il borsone Seven dal selciato di Piazza Castello.



"Dov'è che si va a cena? Da Patuasso?"



Ridi nuovamente.



"Quante volte devo ripetertelo, Ratto? Si dice Pautasso, non Patuasso."



Scrollo le spalle.



"Da lo mismo. Lo importante es que hayan tomini y agnolotti. Me estoy moriendo de hambre 7." T'afferro una mano e ti trascino via verso il Quadrilatero 8. "Vamos!"



Stringo la tua mano nella mia. La sento ruvida e secca. Sei una musa piuttosto consumata. Già.



_____________



1 "Supermissile", "supposta su binari" sono gl'epiteti che utilizzo di solito per indicare il materiale rotabile ETR. Li coniai una vita fa, nel 1988, ai tempi dei primi Pendolini.



2 Tale piazza, per i subalpini doc, è meglio conosciuta come Porta Susa.



3 Espressione romanesca, tipica del gergo coatto, che significa "sfruttatore di prostitute".



4 La Torre Littoria, coi suoi ottantasette metri d'altezza, è l'edificio più imponente di Torino. Pare la si debba ascrivere alla famiglia dei grattacieli. Io non ho opinioni al riguardo. So solo che non mi garba.



5 Per la traduzione in italiano della succitata parola, vi consiglio di chiedere agl'amici del TorinoForum.



6 Vale anche qui lo stesso consiglio di prima.



7 È sempre spagnolo. Tradotto con una certa libertà, suona pressapoco così: "Gl'è uguale. L'importante è che mi s'approvvigioni di tomini e agnolotti. Un ci vedo dalla fame."



8 Notizie del Quadrilatero potete trovarle in http://www.quadrilateroromano.it/.

giovedì 5 marzo 2009


A kiss, just a kiss



Sono chino in avanti, i gomiti poggiati sul parapetto di Ponte Vittorio. Guardo il Po che scorre limaccioso sotto di me.



"Ratto..."



Alzo gl'occhi. Scruto il fiume, lontano, verso Moncalieri.



"Che hai?"



Non ho voglia di parlare. Sono ancora in compagnia dei miei pensieri lucidi.



"Stai bene?"



La tua voce è soffocata dal frastuono prodotto dalle auto e dagli scooter che transitano a poca distanza da noi.



"Ratto..."



Mi raddrizzo di scatto. T'incollo a me e premo la mia bocca sulla tua.  Ti do un bacio famelico, osceno, vizioso, di quelli che mozzano il fiato.


Fanculo agli schemi



Sono dentro di te, con tutta la dolcezza e l'ardore di cui sono capace. Voglio che tu raggiunga di nuovo l'orgasmo.



Mi spalmo su di te, in cerca della tua morbidezza. I nostri visi si sfiorano. Hai le palpebre abbassate e le labbra dischiuse. Sei bella.



Non riesco a tenermi. Ti bacio. Il naso, la bocca, le guance.



Mi scosto da te, puntando le braccia sul letto. Spingo più forte, con impeto e foga. Sono incontenibile.



"Ratto!", gridi a gran voce.



Sento il tuo corpo rilassarsi contro il mio. Apri gl'occhi. Mi guardi. Io latito, perso chissà dove.



Con te è così, sempre così.



"Ratto..."



"Oh?"



"Dobbiamo smettere. Mi fa male la pancia."



Esco da te. Mi sdraio al tuo fianco. Sono teso. Ho i testicoli doloranti e la mente ancora annebbiata. Non so se dire qualcosa o restare in silenzio.



Ti prendo una mano. La stringo nella mia.



"Fanculo agli schemi", sibilo.



Volti la testa. Mi fissi. Io ricambio lo sguardo e ti regalo un sorriso.

domenica 1 marzo 2009


Mad



E uno



La punteggiatura, segni che imbrigliano i pensieri, un caos sfuggente fatto d'apostrofi, parentesi, due punti, tratti d'unione, puntini di sospensione, punti esclamativi, punti fermi, punti interrogativi, virgolette, punti e virgola, barre ed asterischi. Che ne posso capire io? Un accidenti di niente.



Fisso il monitor che ho dinnanzi e stringo gl'occhi. Le parole che scrivo m'irridono allegramente. Cazzo. Questo racconto non vuole proprio saperne di decollare.



Sbuffeggio e m'alzo dal tavolo del PC, incupito e smanioso. Devo stravolgere la trama che ho in testa da giorni. Sì, non v'è altra scelta. Schiocco le dita e precipito nel Nulla: un volo esilarante e vorticoso preceduto da un punto doppio.



E due



"Ho una proposta indecente. Interessa?"



"Dipende."



"Sono molto generoso. Certamente non te ne pentirai."



"Sentiamo."



"Ti voglio nuda, sui tacchi."



"C'hai la fissa, aho!"



"È un problema per te?"



"No."



"Magnifico. Se organizzassimo per domani? Che ne pensi?"



"No, domani non posso."



"Dopodomani allora?"



"Sì, credo che per giovedì si possa combinare."



"Prenoto al solito hotel, ok?"



"Sì."



"Mi raccomando: décolleté o sandaletti, niente stivali."



"Va bene."



"Ricordi quell'aggeggio tondo che era esposto nella vetrina della Boutique Cartier di Via Condotti?"



"L'anello con brillante?"



"Sì, quello. Se esaudirai questo mio piccolo desiderio sarà tuo. L'ho già in saccoccia."



"Matto, tu sei tutto matto."



"Io non credo proprio. Tu però sei libera di pensare quello che vuoi." Guardo l'orologio. Sta per scoccare la mezzanotte. "È tardi, amore. Sono stanco. Aribeccamose domani in messenger, dai."



"D'accordo."



"Ciao."



"Ciao."



"Ah, un'ultima cosa: non farmene una colpa se stanotte ti sognerò abbrancata a me in un fantasmagorico e sudatissimo amplesso. Sei bona com'er pane. È inevitabile che in me scattino simili fantasie."



"Te possino..."



Mi rituffo nel Nulla, inseguito da una virgola e da un'orda di puntini di sospensione.



E tre



"Nick e dominio li ho inventati io. Tu sei una mia creatura."



"Non è vero."



"È vero invece e tu lo sai."



M'avvicino con un bagliore ferino nello sguardo. Tu indietreggi sulla difensiva.



"Se t'azzardi a ficcarmi in una delle tue porcherie io..."



"Tu cosa?"



"Lasciami andare, scostumato!"



Mollo la presa.



"Come comanda Vossia." Schiocco le dita. Compare il prode Vanny. È in tenuta di volo: cuffia da pilota, occhialoni, giaccone di pelliccia, pantaloni da cavallerizzo e stivali. "La signora qui presente desidera scomparire da queste pagine malfamate. Vedi d'accontentarla."



"Trip sugl'abissi del Nulla con destinazione l'oblio?"



"Esatto, vecchia spugna. Procedi."



Il prode Vanny ti carica sulle spalle senza tanti complimenti e s'invola verso il cesto della sua mongolfiera piena di veleni e paranoie.



"Donne di cartone", sibilo. "Puah!"



M'azzero stando appeso ad un gerundio e ad un punto esclamativo.



E quattro



Sono uno dei tanti bambini che frequenta quest'asilo senza nome. Ho il morale a mille. Oggi non solo ho imparato a padroneggiare l'uso del punto e virgola, ma ho anche strappato una ciocca di capelli alle mie amiche più care: Ducky e Cecchina. Mi vogliono entrambe un mondo di bene. E non si sognerebbero mai di spettegolare alle mie spalle, nemmeno sotto tortura. Le amo, oh come le amo!



Uh, uh, uh, arrivi tu, la maestra. Nascondo le ciocche nella tasca destra dei pantaloni e ti corro incontro urlando. M'avvinghio alle tue ginocchia con tutta la forza di cui sono capace.



"Ti voglio bene, Kitty, nonostante il tuo caratterino pepato."



"Ratto..."



"Non fo il ruffiano, è la verità: tu sei la mia musa più bella, quella che bramerò sempre."



Cerco di scalarti. Sono troppo piccolo. Non ci riesco. "Ilaria", pigolo piano. Tu mi prendi in collo. Io t'abbranco spalmandomi sul tuo petto.



"Kitty..."



"Che c'è? Dimmi."



"Quanto scrivo nei miei racconti ha un sapore minimalista anni '80?"



"Boh?"



"Lo stile in cui m'esprimo, secondo te, potrebbe piacere a Jay McInerney?"



"E che ne so?"



"Il ritmo delle mie buffe storielle è fluido o incespica nella punteggiatura? A te pare che io sia in grado di gestire le virgole e le congiunzioni o mi comporto come Joyce e ci do giù duro coi punti maggiori fregandomene degl'altri segnetti? Quando racconto, il lettore l'accompagno o lo lascio lì dove si trova?"



Mi guardi. Nei tuoi occhi bruni comincia a balenare una fiamma dardeggiante.



"Queste domande hanno una fonte?"



"Sì, Mad."



"Mad... Chi è?"



"Uno scrittore di professione e il mio fornitore ufficiale di template."



Aggrotti la fronte.



"Il tale di cui sopra esiste veramente o è uno dei tuoi soliti personaggi in cerca d'autore?"



"Esiste, Ilaria. Ha lo stesso physique du rôle di quegl'ombrosi pistoleri che negli spaghetti western recitano la parte dei cattivi." Rido. "Ed ha un paio di baffi che conquista."



"T'ha letto su Splinder?"



"No, altrove. Gli piace come scrivo e afferma che ho del talento. Sostiene però che io di punteggiatura e affini non ne chiappo granché."



"Gli posso parlare?"



"Perché?"



"Vorrei dirgliene quattro, proprio sui baffi."



T'abbranco ancora di più stringendo fortissimo.



"Quanto sei bella, Kitty!"



Cado nel Nulla. Tu mi segui dappresso, racchiusa tra una virgola e un punto affettuoso.



E cinqueeeeeee



Sono a Porto Venere sotto la Chiesa di San Pietro, abbarbicato mano nella mano con te sugl'impervi gradoni della scalinata che scende alla Grotta Arpaia 1. Il sole sta quasi per tramontare e il Mar Ligure è un magma di spume ribollenti. Tira un vento freddo e deciso che s'insinua nei nostri cappotti come se questi fossero fatti di carta velina.



"Abbracciami", sussurri a fil di voce.



Slaccio le mie mani dalle tue, ti passo un braccio sulle spalle e ti traggo a me, forte e delicato insieme.



"Ratto..."



"Shhhh, Ilaria. Lascia che sia il silenzio a parlare."



_____________



1 Secondo la leggenda fu da tale antro che Lord Byron iniziò la sua traversata a nuoto del Golfo dei Poeti fino a Lerici.

lunedì 16 febbraio 2009


Shampoo



Odo uno scroscio d'acqua. Allungo una mano. Cerco. Esploro. Nulla. Incontro solamente la stoffa delle lenzuola. Tu non giaci più al mio fianco. Sei in bagno sotto la doccia.



Scucio le ciglia, apro gl'occhi e mi stiracchio grugnendo soddisfatto. Scendo dal letto. Vo alla portafinestra della camera e scosto le tende. Guardo quanto si profila oltre il parapetto del terrazzo: la piazza dei fruttivendoli ambulanti, i capannoni del porto, la sede dell'Ufficio Locale Marittimo, il molo sud, l'Adriatico. Socchiudo le palpebre e aguzzo lo sguardo. Le acque del mare, plumbee e cupe come il cielo che incombe su di esse, sono crespe a causa del vento che spira gelido da est. Sono attraversato da un brivido.



Lo scroscio d'acqua è sempre lì. Continua a vagare per la stanza insistente e invitante.



Sono attraversato da un altro brivido. Ho un'idea birichina. Giro sui talloni e caracollo fino alla porta della toilette. Prendo la maniglia. Tiro e precipito in bagno chiudendo la porta silenzioso e furtivo.



La stanza ha una temperatura molto gradevole. Tiro un sospiro e punto gl'occhi sul box della doccia. Ti scorgo di schiena dietro i vetri della cabina. La vista dei tuoi glutei sodi e formosi accende il mio desiderio. Mi tocco diventando subito duro. Afferro il Fructis dalla borsa da toilette che si trova sullo sgabello accanto al lavabo e apro le ante del box. Tu ti volti verso di me in preda a un forte spavento e con in mano una delle minuscole saponette dell'hotel. Inchiodi il tuo sguardo al mio. Ho una fame di te che neanche immagini. Perdo liquido seminale a più non posso.



"Ratto?"



Avanzo d'un passo ed entro nella cabina. Un getto d'acqua calda mi bagna torso e gambe.



"Oh..."



"Che ti prende?"



"Il solito, Rée: ho voglia di farmi uno shampoo."



Ti sollevi sulla punta dei piedi e m'insaponi la bocca con una mossa decisa.



"Matto."


Flambé



Getto lo sguardo fuori della finestra della veranda del ristorante. L'Adriatico è un'impenetrabile pozza d'oscurità in fondo alla spiaggia oltre la strada litoranea. Ho in bocca un vago sapore di campari e succo d'arancia. È quanto resta del Garibaldi, il cocktail che ho bevuto prima di cena all'Hemingway mangiucchiando una fitta schiera di crostini al ciauscolo.



Distolgo gl'occhi dal buio della notte e li punto sulla sala del ristorante. Scorgo il cameriere. Cammina verso di noi portando con sé una ciotola di vetro colma d'insalata e un piatto con sopra un foglio di carta d'alluminio accartocciato e fumante. Inarco le sopracciglia, sorpreso.



Il tale raggiunge il tavolo e distribuisce le ordinazioni: a te l'insalata; a me il foglio di carta d'alluminio. Abbasso lo sguardo e fisso il contenuto dell'involucro argentato. È un groviglio di spaghetti alla matriciana su cui arde una fiamma alimentata da chissà quale arcano portento. Alzo gl'occhi e ti guardo, perplesso.



"Senti un po', Rée: sai mica come spegnere questo rogo immane?"



Ridi.



"No, Ratto, è la prima volta che vedo una cosa del genere."



Cerco il cameriere collo sguardo ma non lo trovo. Il tale è uscito dalla sala per tornare in cucina.



"Cazzo."



Giro gl'occhi intorno a me, alla disperata ricerca d'un estintore.

giovedì 5 febbraio 2009


Bene, mi piace così



Apro gl'occhi. Ho la mente intorpidita. Sono ancora preda del sonno. Mi giro su un fianco. Guardo i numeri e le lancette fosforescenti della sveglia che staziona sul comodino. Sono le sei meno un quarto.



Torno supino. Stiro la schiena distendendo le braccia verso il soffitto della camera. Ho la pelle degli stinchi e delle ginocchia che brucia. È scottata. Il sole del Circeo non perdona e la crema solare della Coop non vale nulla. Tiro un sospiro.



Un ronzio. I tizi del piano di sopra hanno acceso il condizionatore. La cappa d'afa che avvolge Latina da giorni non da requie neppure la mattina presto. Viva, viva l'Agro Pontino!



Sono in piena erezione. Ho voglia. Ti cerco. M'incollo alla tua schiena. Premo la mia virilità contro di te.



"Nun rompe." Hai la voce roca e impastata. "So' stanca. Famme dormì."



Ti mordicchio il lobo d'un orecchio mentr'infilo una mano tra le tue cosce socchiuse.



"Basta, nun me tocca'."



Trovo la vagina. Ti penetro con un dito. Vorresti sfuggirmi. Ti divincoli. Io però non cedo e m'incollo a te viepiù.



"Lassame..."



Sei diventata umida. Coli. Ti pungolo quindi con maggiore insistenza.



"Vuoi proprio che smetta, ciumachella?"



"Sì..."



Il mio dito. Lo senti tutto dentro di te. Esplora, scava, titilla.



"No..."



Sorrido.



"Bene, mi piace così."



Sfilo il dito dal tuo tesoro e v'infilo il membro eretto. Una manovra decisa, quasi brutale. Sei un bollore. T'afferro per le spalle e spingo come un forsennato. Poi rallento il ritmo senza fermarmi.



"Sono sempre un pensiero impuro che non è peccato?", ti domando tra un ansimo e l'altro.



"Fetente", mi rispondi tu in balìa d'un orgasmo subdolo e bruciante.

mercoledì 28 gennaio 2009


Forever yours



Emergo dall'uscita del metrò. Controllo lo swatch. Le lancette dell'orologio segnano le undici meno sei.



"Sempre in anticipo", borbotto a fior di labbra. "Mai una volta fossi in orario."



Svolto a sinistra, avanzo di qualche passo e, posato sul selciato del marciapiade lo zaino Everlast che ho sulle spalle, mi piazzo di fronte alla porta d'ingresso del Multisala Barberini. L'attesa non dovrebbe essere lunga. L'appuntamento con te è fissato per le undici esatte.



I minuti si susseguono senza che tu compaia all'orizzonte. Infilo i Ray-Ban per proteggermi dalla luce del sole. Controllo nuovamente lo swatch. Sono le undici e uno. Tiro uno sbuffo.



Le undici e dieci. Pesco il cellulare dalla tasca dei jeans. Ti chiamo. Un messaggio automatico m'invita a riprovare più tardi visto che non sei al momento raggiungibile. Tiro un altro sbuffo.



Le undici e tredici. Comincio a pensare che non sia stata una buona idea quella di venirti a incontrare a Roma. Sei simpatica e m'intrighi ma non posso dire di conoscerti davvero. Anzi, se dovessi badare alla realtà dei fatti, tu cosa saresti per me? Una voce al telefono, un blog che non leggo e una foto sfocata decisamente brutta. Dovrei smettere d'imbarcare lo Steelrat in certe avventure. Eh sì.



Le undici e diciassette. Ho sete e una gran voglia di Becks. Inghiotto saliva.



Le undici e venti. Torno col pensiero al viaggio in treno di stamani. L'Eurostar delle otto e cinquantadue non era poi così affollato come temevo 1 e la tipa seduta sulla poltroncina di fianco alla mia non era male. Peccato fosse già impegnata. Ah la sfortuna.



Le undici e ventitré. Ti richiamo al cellulare. Solito messaggio automatico. "Le donne sono proprio un male necessario", sibilo. Ho tanta pazienza ma ora sono al limite.



Le undici e ventinove. L'uscita del metrò vomita una coppia di turisti. Lui è un colosso dai capelli fulvi e la faccia piena di lentiggini; lei una bionda mingherlina con un paio di gambe che sembrano due manici di scopa. Sono stranieri. Sicuramente americani. Mi fissano. Li fisso. S'avvicinano. Lentiggini mi chiede in un italiano passabile se so dove si trova la Fontana di Trevi. "Boh?", gli rispondo sorridente. "Domandalo al Bernini quando ti capita d'incrociarlo." La battuta non viene apprezzata: America inarca un sopracciglio e, colla bionda al seguito, se ne va scuro in viso. Io scrollo le spalle. Ho altro per la testa.



Le undici e trentadue. Comincio a temere che la tua latitanza sia una beffa ordita a mio danno. Odo un gorgoglio. È lo stomaco che reclama dalla fame. Sogno a occhi aperti un bel piatto fumante di bucatini alla matriciana.



Le undici e trentacinque. Una panda azzurro metallizzato colle barre portatutto sul tetto attraversa ruggendo Piazza Barberini. Giunta all'altezza del Multisala, gira a sinistra e s'invola su per Via Veneto. La spericolata fanciulla al volante di quel bolide targato LT è una vecchia conoscenza. Non riesco però a ricordare di chi si tratti. Invecchio. Perdo neuroni ogni giorno che passa. Cazzo.



"A bello!"



Mi riscuoto. Tolgo i Ray-Ban. Sbatto le palpebre. Ti metto a fuoco. Sei dinnanzi a me, sbucata da chissà dove e con uno splendido sorriso sulle labbra.



"Ciao."



Prendo le tue mani nelle mie. Sono morbide e delicate. Inspiro. Fiuto nell'aria un tenue sentore tra l'agrumato e il floreale. È certamente l'aroma del tuo profumo made Bulgari. Ti scruto. Hai la pelle dorata dal sole e ben calcati sul capo un paio di Blumarine con una montatura molto grande. I capelli li porti sciolti sulle spalle. Hanno una tonalità di rosso che non appariva in foto. Sono mossi e freschi di shampoo.



"Se po' sape' che te pija?"



Ridi.



"Nun me parevi 'n tipo tanto timido."



Continuo a osservarti. Hai il volto abbellito da un trucco ben dosato: rossetto arancio, fard e mascara volumizzante. Hai a tracolla una piccola borsa rossa, griffata Dolce e Gabbana. Indossi dei jeans stretti e una maglietta bianca aderente con uno scollo profondo. L'una e gl'altri sono coperti di strass. Hai i piedi nudi e calzi un paio d'infradito alte colla zeppa piena di brillantini. Sorrido.



"Aho?"



Non sei come m'ero immaginato che fossi. Proprio non lo sei.



"Er gatto t'ha magnato 'a lingua?"



Libero le mie mani dalle tue. Hai un décolleté che lascia incantati.



"No, è che m'hai furminato."



"Matto d'un fiorentino!"



"Te sbaij, ciumachella. Nun so' de Firenze e manco toscano purosangue."



Aggrotti la fronte.



"Davero?"



"Sine. So' pe 'n quarto emiliano. Nun l'hai sentito l'accento?"



_____________



1 Detto Eurostar è stato sostituito dal 14 dicembre scorso dal Freccia Rossa delle otto e quarantanove. Il prezzo del biglietto è rimasto però inviariato. Che culo, eh?

lunedì 19 gennaio 2009


Il peplo d'Atena



Prendo il fodero e ringuaino la spada. Il silenzio sceso sulla piana dov'era infuriato l'attacco delle arpie di Podargo è rotto da Orfeo il Trace che ha intonato un canto melanconico e struggente. Mi guardo intorno, la vista appannata dal sudore. I miei compagni di battaglia sono tutti in piedi. Giasone, il duce, è appoggiato alla lancia, sfinito. Castore e Polluce, gl'intrepidi gemelli di Sparta, si danno delle pacche sul petto delle loro corazze, lieti di non essere sprofondati nell'Ade. Eracle forte braccio è intento a pulirsi barba e capelli dalle penne delle feroci donne uccello di cui ha fatto strage a colpi di clava. Ila il Driope, infine, sparse al vento le chiome fluenti, s'è messo a stuzzicare la corda del suo arco infallibile, avvolto in un chitone purpureo che gli lascia scoperte le gambe dalla linea perfetta.



"'A calura t'ha cotto er cervello?"



Socchiudo le palpebre e, con entrambi i gomiti, mi puntello sulla sabbia umida del bagnasciuga inclinando lo sguardo verso di te.



"L'arpie, Orfeo, Giasone sderenato."



Sei seduta al mio fianco, le ginocchia strette tra petto e braccia e gl'occhi nascosti dietro un enorme paio d'occhiali griffati Blumarine.



"Che stai a dì?"



Hai indosso un costume intero piuttosto sgambato. È nero come la clip che imprigiona i tuoi capelli rosso tiziano.



"Me pari matto."



Sbuffo.



"Ma quanno mai!"



Incrocio le caviglie e stiro ben bene la schiena.



"Stavo solo a frulla' 'n raccontino."



"'E solite zozzerie?"



"No."



Ti sbircio i piedi. Sono piccoli e belli, colle unghie smaltate di blu e verde. Una delizia per palati fini.



"Me volevo butta' sur mitologico e scrive der Mus."



Aggrotti la fronte, perplessa.



"Chi sarebbe sto tipo?"



Disincrocio le caviglie e piego in avanti il busto staccando i gomiti dalla sabbia.



"Quer sorcio falloppone 1 ch'accompagnò l'Argonauti a cazzeggio pe l'Egeo e zone licantrope."



Scuoti il capo. Ridi.



"Spari fregnacce."



Torno sdraiato sui gomiti e ti fisso, serio in viso.



"Guarda, nun me so' inventato niente. È tutta farina der sacco d'Apollonio Rodio."



Volto la testa e punto lo sguardo oltre Villa Volpi, sulla massa incombente del Monte Circeo.



"Er Mus approdò pure in sti lidi. Ce 'o racconteno Epicarmo, Formi e Aristofane."



Volto di nuovo la testa. Fisso le acque argentee del Tirreno che vengono lentamente a morire sulla spiaggia di Sabaudia.



"Fece er provolone co 'a maga Circe e, paraculato da Afrodite, je diede 'na botterella robusta."



Traggo un sospiro.



"'E raccomannazioni serviveno anch'allora. Mannaggia."



Scavi nella sabbia, ne afferri una manciata e me la scagli contro.



"Statte zitto, tanto nun m'addormi!"



Un'avvenente ragazza bruna entra per un attimo nella mia visuale. Cammina in riva al mare, coi piedi nell'acqua, diretta verso il tratto di spiaggia dove sono piazzati gl'ombrelloni dello stabilimento balneare Lilandà. Indossa dei minuscoli slip rossi e un'aderente maglietta a maniche corte con questa scritta sul petto: LUA VS PUPI E PUTIN. Non ha reggiseno. Intravedo chiaramente la punta dei suoi capezzoli.



"Che c'hai, aho? Hai l'occhi de fori."



Distolgo lo sguardo dal mare e lo punto nella tua direzione. Hai slacciato le ginocchia e ti sei stesa su un fianco, rivolta verso di me. Noto che hai un'espressione incupita.



"Nulla, ciumachella. Ponzavo."



T'adiri.



"Tu sei tutto tranne che mi nonno. Nun me chiama' così 2."



Ti do un'altra sbirciata. Hai un notevole paio di cosce e un corpo ben modellato. L'unica nota stonata sono le unghie delle mani, laccate d'un arancione bello carico.



"C'hai ragione, sa'."



M'accosto a dove sei sdraiata e scivolo sopra di te.



"Tu nun sei 'na pupetta."



Cerco la tua bocca.



"Anzi."



I Blumarine m'impicciano. Te li sfilo dolcemente per posarli sulla sabbia vicino alla borsa di paglia che ti sei portata sulla spiaggia.



"Nun fa er sorcio."



Mi spalmo ancora di più su di te. Il mio turgore è divenuto un pungolo insistente. Ansimi.



"C'è gente."



Le nostre lingue s'intrecciano voraci e appassionate. Poi io mi scosto da te inchiodando il mio sguardo al tuo.



"Nun me ne po' frega' de meno, ciumachella."



Piego le labbra in un sorriso sornione e vagamente beffardo.



"So' 'n omo assuefatto a 'e perversioni."



Scivolo di nuovo sopra di te. Accosto la mia bocca al tuo orecchio.



"Tu sai cosa se nasconne sott'er peplo d'Atena, vero?"



Ridi.



"Certo. 'A gattarola."



_____________



1 "Mus" (μῦς), in greco antico, significa infatti "topo", "ratto".



2 S'allude qui al fatto che ciumachella, lumachina, è un vezzeggiativo che si usa colle bambine piccole.


"ἔνθεν δὲ προτέρω πλέομεν ἀκαχήμενοι ἦτορ,
ἄσμενοι ἐκ θανάτοιο, φίλους ὀλέσαντες ἑταίρους.
Αἰαίην δ' ἐς νῆσον ἀφικόμεθ'· ἔνθα δ' ἔναιε
Κίρκη ἐϋπλόκαμος, δεινὴ θεὸς αὐδήεσσα,
αὐτοκασιγνήτη ὀλοόφρονος Αἰήταο·
ἄμφω δ' ἐκγεγάτην φαεσιμβρότου Ἠελίοιο
μητρός τ' ἐκ Πέρσης, τὴν Ὠκεανὸς τέκε παῖδα."



(Odissea, Canto X, vv. 135-139)



"E all'isola Eèa venimmo; qui stava
Circe riccioli belli, terribile dea dalla parola umana,
sorella germana d'Eèta dal cuore crudele;
entrambi son nati dal Sole, che illumina gli uomini,

e madre fu Perse, figlia d'Oceano."