Fedayn
"Sorce'?"
Smetto di rosicchiare il cappuccio della Bic, alzo gl'occhi dal quaderno dei pensierini e guardo verso la cattedra.
"Sì, signora maestra?"
"Hai studiato?"
Poso la biro sul banco. Infilo le dita nel naso e mi scaccolo.
"Un po'."
"Un po' quanto?"
"Un po'."
"Vie' qua che t'enterrogo."
Resto seduto al banco asserragliato dietro il quaderno, la Bic e un astuccio pieno di matite colorate.
"Vie' qua, ho detto! Te manno dar preside se no."
Tolgo le dita dal naso e le pulisco sul grembiule nero da scolaro elementare.
"Ho vergogna, signora maestra."
Socchiudi le palpebre e mi fissi severa.
"Nun te credo manco si me lo giuri, Sorce'."
"È vero invece."
Batti un pugno sulla cattedra.
"Mo' basta! Movite, vie' qua!"
Mi rizzo dalla sedia e guardo Cecchina, la pettegola che divide il banco con me.
"Non si potrebbe rinviare alle calende greche?"
T'adiri. Hai esaurito la pazienza.
"No!"
Allento il fiocco azzurro che ho annodato al collo e do un'occhiata intorno a me. Le mie compagnucce di classe mi fissano attente e curiose.
"Signora maestra..."
"La voi finì co sta manfrina? Vie' qua!"
Raggiungo la cattedra sconsolato. Mi metto al tuo fianco. Ti scruto. Indossi una camicetta bianca sotto un tailleur grigio acciaio e calzi un paio di décolleté nere che m'intrigano assai. Hai i capelli sul biondo arancio e profumi Chanel Numéro Cinq.
"Sorce'?"
"Sì, signora maestra?"
"Nun ce prova'. Niente zozzerie. Ce semo capiti?"
Annuisco col capo.
"Bravo. E mo' recitame 'a poesia de Fabrizi, quella ch'avevi per compito a casa. Voijo capì s'hai finarmente imparato a pronuncia' er romanesco."
Schiarisco la voce.
"Doppo che ho rinnegato pasta e pane, so' dieci giorni che nun calo, eppure resisto, soffro e seguito le cure... Me pare un anno e so' du settimane."
Declamo come Cicerone: agitando puntati al cielo gl'indici d'entrambe le mani.
"Nemmanco dormo più, le notti sane, pe damme er conciabocca a le torture, le passo a immagina' le svojature co la lingua de fora come un cane."
Rido.
"Ma vale poi la pena de soffrì lontano da 'na tavola e 'na sedia pensanno che se deve da morì?"
Mi tocco i gioielli di famiglia nel solito riflesso condizionato.
"Nun è pe fa' er fanatico romano, però de fronte a sto campa' d'inedia, meijo morì co la forchetta in mano!"
Mi guardi.
"Nun c'hai messo l'anima, Sorce'."
Stringo le spalle.
"È che m'ispirano altre cose."
"Sarebbe a dì?"
Estraggo di tasca la mia sciarpetta giallorossa e canto a squarciagola uno dei cori della Curva Sud.
"Sul muretto ce so' quindici assassini. Oh oh oh. Ch'hanno rotto sempre er culo ai celerini. Oh oh oh. Er muretto è circondato da P.S. Abbiam spaccato pure le loro teste. FEEEDAYN! Siam teppisti. FEEEDAYN! E terroristi!"
T'arrabbi. Balzi in piedi e mi torci un orecchio con tutta la forza che hai.
"Ah, si solo fossi tu madre..."
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