Avviso ai naviganti


Questo blog contiene testi e immagini la cui fruizione è adatta esclusivamente a un pubblico adulto e consapevole.


I racconti qui pubblicati sono inoltre opera di fantasia. Ogni coincidenza con fatti reali e persone fisiche o giuridiche, realmente esistenti, o con enti, società, organizzazioni, gerarchie sia naturali che soprannaturali, è da ritenersi puramente causale.


giovedì 25 dicembre 2008


I miei amori



T'ho trascinato a Recanati, sulle tracce di Giacomo. Siamo finiti nel suo stagionato palazzo, in compagnia d'un plotone di turisti abbronzati. Romagnoli per lo più. Ma anche esuli del Granducato, come il sottoscritto.



Visita guidata per le cucine e la biblioteca del conte Monaldo. Pentolame vetusto e libri muffiti. Uno sballo. Il pezzo forte, comunque, è stato il tavolinetto dove il poeta trascorse i suoi "sette anni di studio matto e disperatissimo". Un aggeggio pieno di tarli, da rigattieri del Balôn 1.



Io, per tutto il giro di Casa Leopardi, ho vagato sulle ali del tempo, avanti e indietro come un pendolo. Ero a Sirolo, seduto su una panchina della Piazzetta, a gustare il sapore delle tue labbra. Ero a Firenze, nel buio del cinema Edison, a carezzare furtivo i capezzoli del mio amore della terza liceo. Ero a Genova, chiuso in uno scompartimento d'un malandato intercity, a decifrare sorridente un chilometrico "mimanchimimanchimimanchi" inviatomi tramite sms dal mio amore lontano. Ero a Roma, stanco e accaldato, ad esplorare mano nella mano col mio amore finnico l'arcano labirinto delle catacombe di San Callisto. Ero a Milano, in un'assordante discoteca di Porta Ticinese, a leccare ebbro di vodka le lentiggini del mio amore teutonico. Ero a Parma, di fronte all'ingresso della stazione, ad aspettare nella morsa del gelo la comparsa della mia musa più bella. Ero in treno, da qualche parte tra Chiusi e Orvieto, a fissare mezzo intontito dal sonno il succhiotto lasciatomi sul braccio dal mio amore evanescente. Ero in luoghi diversi, con donne diverse, dileguato nel Nulla tanto per non smentirmi mai.



"Ratto?"



Sbatto le palpebre. Il sole. La sua luce m'infastidisce. Inforco i Ray-Ban.



"Oh..."



Siamo usciti dalla dimora natale di Giacomo e ci troviamo nella piazzola antistante al palazzo. Ho lo sguardo puntato su un tozzo edificio che all'epoca del poeta ospitava le scuderie di Casa Leopardi e l'abitazione di Teresa Fattorini, la famigerata Silvia del "rimembri ancora".



"Dove vuoi andare adesso?"



Volto la testa verso il palazzo. Noto un cartello.



"Al colle dell'infinito." Indico una direzione alla mia sinistra. "Dovrebbe essere là in fondo."



Abbandoniamo la piazzola per giungere, costeggiando le mura di Recanati, sul bordo d'un ameno cocuzzolo, disseminato di fratte, siepi e cespugli. Siamo soli. Intorno a noi non si vede nessuno.



"Rée..."



M'avvicino a te incollando il mio corpo al tuo.



"Lo senti?"



Mi fai col capo un impercettibile cenno d'assenso.



"Hai presente la colazione a base di pane, ciauscolo 2 e Rosso Piceno che mi sono sparato stamani prima che lasciassimo l'agriturismo?" Altro impercettibile cenno d'assenso colla testa. "A quanto pare, detto petit-dejeuner ha prodotto i soliti risvolti afrodisiaci."



Apri la patta dei miei calzoncini, m'infili una mano negli slip e stringi.



"Gli stessi che ho notato ieri prima del tuffo in piscina."



Sono percorso da un fremito.



"Già."



Ci baciamo appassionatamente, lingua contro lingua.



"Ho voglia", sibilo.



Ti scosti da me. Mi fissi, seria in viso.



"Non abbiamo tempo. È tardi. Rischi di perdere il treno."



Mi ricompongo in fretta e furia.



"E va be'."



Torniamo sui nostri passi, verso l'antica magione di Giacomo. Aggrotto la fronte, pensoso.



"Siamo diventati due personaggi che s'esibiscono su un palcoscenico di parole, Rée." Tiro un sospiro. "I tuoi non so a questo c'hanno ridotto."



Mi guardi.



"Ti spiace?"



Mi passo una mano sui capelli.



"Certo. Al Cartone preferisco il reale. Sempre e comunque."



____________



1 I fan della premiata ditta Fruttero & Lucentini sanno a cosa mi riferisco.



2 Circa tale salume, vedasi http://it.wikipedia.org/wiki/Ciauscolo.

martedì 23 dicembre 2008


Drinking in Ancona



Siamo seduti sugl'alti sgabelli d'uno dei tavolini del bistrot panoramico, l'una di fronte all'altro. Io sorseggio l'ennesimo bicchiere di vodka. Tu demolisci cucchiaiata dopo cucchiaiata una colossale coppa di gelato. Guardiamo il traghetto della Minoan Lines che si profila sotto di noi all'ancora nel porto d'Ancona. Sta vomitando sul molo persone, auto e camion in un frastuono d'inferno.



"Ratto..."



Hai interrotto la tua opera di demolizione e mi fissi dritto negl'occhi.



"Sei sempre attaccato alla bottiglia."



Poso sul tavolino il bicchiere ormai vuoto.



"Hai qualche dispiacere, vero?"



Rido.



"Macché, Rée. La vodka fa d'uopo per togliermi dalla bocca il sapore del cloro."



Scendo dallo sgabello e mi stiracchio la schiena.



"Siamo stati in piscina ieri. Hai visto come nuoto, no? Sono un tricheco bolso che ingoia acqua ad ogni bracciata."



Scuoti la testa.



"Che matto che sei."


Cut.Me



Camera tua. Il solito caos: specchiera capovolta, letto sfatto e macchiato di sangue e sperma, comò rovinato a terra tra i frammenti del Mivar quattordici pollici sparsi sul pavimento. Solo l'armadio e il tavolo del PC sono scampati alla nostra furia.



"Tagliami."



Tengo lo sguardo fisso su di te. Hai le lacrime agl'occhi e il collo segnato dall'impronta dei miei morsi.



"Obbedisci!"



Il Golem trema nella tua mano destra.



Ti do due schiaffi, il secondo più cattivo del primo. Sono acciaio stanotte.



"Volevi essere una mistress, Kitty? Comportati di conseguenza."



Avanzi verso di me, incerta sui tacchi. M'incidi. Gote, petto, fianchi, addome, cosce. Fiumi di porpora iniziano a scorrere sulla mia pelle nuda.



"Tutto qui?"



Sogghigno truce.



"Non sei capace d'altro?"



T'avventi su di me e meni un fendente, da destra a sinistra. Mi tagli. Questa volta in modo più profondo e devastante.



"Ancora, Skizzo, ancora!"



Torni alla carica col diavolo in corpo. Prima che tu possa colpirmi, t'afferro pei polsi e t'incollo le spalle e la schiena all'armadio, gravandoti addosso. Ti divincoli pazzamente. Inutile. Resti stretta a me. Ti torco la destra. Molli la presa sul coltello che precipita a terra in un tonfo metallico. Do un calcio all'elsa del Golem e l'allontano da noi, verso la specchiera. Sprizzo sangue ovunque, su di giri per la botta d'adrenalina. Inghiotto saliva. Inspiro ed espiro profondamente. Ti guardo. Hai i capelli scompigliati, un labbro pesto e il reggipetto con una spallina sull'omero. Mi fai tenero. Ti libero quindi i polsi e mi scosto da te, carezzandoti il viso. Ne approfitti per centrarmi uno stinco colla punta d'una delle décolleté nere su cui sei abbarbicata. Reagisco d'impulso, guizzante come una saetta. Ti mollo un pugno al plesso solare. Cadi in ginocchio dinanzi a me, col fiato mozzato e le braccia incrociate sullo sterno. Alzi la testa. Inchiodi il tuo sguardo al mio. Sei lontano dall'essere doma. Senti l'ira crescere nel profondo, più forte del dolore che ti folgora il cervello. Sei magnifica e terribilmente sexy. Ti voglio.



"Succhiami", ordino perentorio.



"Puoi scordartelo", mi rispondi digrignando i denti.



T'afferro rudemente la nuca e ti costringo a un rapporto orale. Non hai grande esperienza ma la tua bocca è calda e accogliente. Raggiungo ben presto l'erezione. Appena avverti la possanza del mio turgore, cominci a suggere e a leccare al meglio delle tue capacità. Vuoi essere tu il motore del mio piacere.



"No", sibilo.



Interrompo la fellatio, ti prendo per le braccia e ti rimetto in piedi. Ti contorci tutta, scalciando. Riesci a sfuggirmi e a schiaffeggiarmi in volto ripetutamente. M'inalbero. T'abbranco pei capelli e ti getto supina sul letto. M'insinuo tra le tue cosce. Ti strappo di dosso le mutandine e scivolo dentro di te. Spingo imperioso e veemente. Tu mi ficchi le unghie nella schiena. Io ti penetro ad un ritmo sempre più accelerato, arrestandomi poi di colpo.



"Siamo scesi nell'Abisso", ti bisbiglio in un orecchio. "Travolgente, vero?"



Muovi il capo in un cenno di diniego. Hai gl'occhi chiusi e sei preda d'un orgasmo che è una piccola morte.


Intermezzo



La carrozzella arranca per le rampe di Viale Poggi verso il Piazzale Michelangiolo. Il cielo serale s'è rannuvolato all'improvviso, minacciando pioggia. Gino canticchia la marcia trionfale dell'Aida. Tu mi fissi furibonda.



"È assurdo."



Le tue mani lunghe e aggraziate stringono nervosamente il bouquet di margherite di cui t'ho fatto dono.



"Eravamo a Roma un istante fa. Come possiamo starcene qui? Come?"



"Unn'è mica colpa di nostro topo stilografico."



Il fiaccheraio, terminata la sua performance musicale, s'è messo a discorrere col cavallo.



"Gl'è i' Caos, quello colla C maiuscola."



Piripicchio lancia un nitrito di conferma. È figlio d'Uragano e Apocalisse. Certi assoluti, lui, li conosce molto bene.



"Ratto?"



Piove. Gocce languide e silenti ti bagnano il viso.



"Di' qualcosa. Detesto i monologhi."



Ti passo un braccio intorno alle spalle attirandoti a me.



"Ratto?"



Accosto la mia bocca alla tua e ti rubo un bacio dolce e fugace.



"I' nostro Pennac di qua d'Arno potrebbe cavarsela come scrittore di romanzetti rosa."



È sempre Gino che parla rivolto al cavallo.



"Io glielo ripeto di continuo: perché un ti proponi a quelli dell'Harmony? C'hai davvero qualche numero. Lui nulla. Un si smove manco un po'. Gl'è proprio un duro di menta."



Piripicchio lancia un secondo nitrito di conferma che si perde nel brontolio dei tuoni.

domenica 21 dicembre 2008


A cena colla Kitty



(segue)



"Può ripetermi il suo nome?"



"None, Mister None. N come Napoli, O come Otranto, N come ri-Napoli, E come Empoli."



Il mâitre scorre la booking list del ristorante. Indi mi scruta.



"Per che ora avrebbe prenotato?"



"Le ventuno spaccate."



"A me non risulta. Sono dolente ma non posso farla accomodare. Abbiamo il pieno stasera."



Comprendo l'antifona.



"Senta, sono appena reduce da una lucrosa caccia al tesoro nel Frosinate e non ho avuto modo di procedere a un cambio d'abito."



Porgo al manfrinaro una banconota da duecento euro fresca di zecca.



"Cerchiamo di non farne una questione d'etichetta. Intesi?"



Il biglietto targato BCE svanisce in una delle tasche del mâitre.



"Intesi, dottore."



Il manfrinaro lancia un'occhiata alle mie spalle.



"Alfonso?"



Compare un cameriere. Ha lo sguardo spiritato ed è tutto vestito di nero nella livrea da beccamorti del Palazzetto.



"Accompagna i signori al tavolo diciassette."



Lo spiritato c'accenna a seguirlo.



"Da questa parte, prego."



Mi tocco gli zibidei tanto per andare sul sicuro e, mano nella mano con Ilaria, esco dal locale per finire sul terrazzo panoramico ad esso adiacente. Alfonso ci mette seduti in un angolo piuttosto tranquillo. Qualcuno degl'altri avventori mi guarda sogghignante. Io me n'infischio allegramente.



"Ti piace, Kitty?"



Alludo a ciò che c'attornia: la scalinata di Trinità dei Monti, Piazza di Spagna e le sue carovane di turisti, i tetti di Roma, lo scorcio di Via Condotti.



"Uhm... sì."



Arriccio il naso in un moto di contrarietà.



"Uhm, Ilaria?"



Inchiodi i tuoi occhi ai miei.



"Sì, Ratto, uhm. Dovevi portarmi nel più bel ristorante di Firenze, su al Piazzale Michelangiolo. E invece che succede? Dapprima mi capitomboli all'Hotel Hassler a leggere un libro che so a memoria. Poi mi trascini qui come se nulla fosse. Tu scrivi cose senza senso."



Rido.



"Perché, secondo te, le cose hanno un senso?"



Sbuffi.



"Non cominciare. Sono stufa dei tuoi giochi dialettici."



Un rumore. È lo spiritato che struscia i piedi sul pavimento del terrazzo in attesa della comanda.



"I signori vogliono ordinare?"



Ti fisso.



"Aperello, Ki'?"



Abbozzi un sorriso.



"Sì, mi va."



Sposto lo sguardo su Alfonso.



"A pizzangri' 3, appropinquace du vodke co 'no spruzzo de Lemonsoda e poco ice."



Lo spiritato prende un appunto sul suo block notes elettronico.



"Bicchiere da whisky o shottino?"



Allungo le gambe sotto il tavolo e mi stiracchio.



"La prima ch'hai detto. Noi semo gente de sostanza che nun ama 'e mezze misure e i quartini riempiti a taccagno."



Alfonso prende un secondo appunto flemmatico e imperturbabile.



"I signori desiderano altro?"



Torno composto sulla sedia.



"Sor Vincenzo 4 che consiglia pe 'a cena d'oggi dì?"



Lo spiritato mi snocciola un pistolotto ripetuto chissà quante volte.



"Insalata di carciofi con taleggio e pere allo zafferano oppure baccalà con puntarelle e mortadella in cinta senese."



Ti lancio un'occhiata. Tu annuisci col capo.



"Nun ce semo, pizzangri'. È meijo che ce fai prepara' du cofanate de rigatoni a a' carbonara e du Becks fredde."



Gl'indico il set di bicchieri presente sul tavolo.



"Dopo l'aperello se beve a niagara. Vedi de liberacce dar superfluo."



Alfonso prende un terzo appunto e toglie dal tavolo gl'inutili accessori che porta via con sé. Tu frughi nel borsellino.



"Ilaria?"



Mi guardi.



"Che c'è?"



"Non vorrai fumare, spero."



Tiri un sospiro.



"Siamo a tutt'aria, Ratto."



"Lo so, però m'appesti lo stesso."



"Scassapalle."



Ricompare lo spiritato. Deposita sul tavolo gl'aperelli e scompare di nuovo.



"Non riesco a capire cosa ti passa per la testa."



Parli a mezza voce. Sussurri quasi.



"Hai interrotto il qui presente filmino l'anno scorso, così d'emblée. Ora lo riesumi e gli dai un finale. Perché?"



Afferro la vodka. Ne centellino un sorso puntando gl'occhi su di te.



"Ti volevo dire questo."



Sorseggio un altro po' di vodka per temporeggiare.



"Cosa?"



"Che non smetterò di volerti bene anche se non ci parliamo più."



Mi fissi.



"Non ci parliamo più, è vero, ma dubito che quanto dici riguardi me. Dov'è che sei?"



Centellino l'ennesimo sorso di vodka e sorrido.



"Giù nel nord, sulla torre più alta d'un antico maniero perduto da qualche parte tra Carmagnola e Strambino."



Scuoti il capo.



"Continui a scrivere cose prive di significato."



"Nun posso parla', Ki'. So' sotto censura."



"Il motivo?"



Piego la bocca in una smorfia.



"'A privacy."



"Che privacy?"



Mi mordo un labbro per non dire altro.



"Ratto?"



Abbasso lo sguardo sul bicchiere che tengo in mano.



"Questo racconto interminabile doveva essere il tuo regalo per me. Non puoi chiuderne la trama nascondendoti dietro una cortina di silenzio."



Bevo ancora un sorso di vodka.



"Ehi..."



Scosto il bicchiere dalla bocca e ti guardo dritto negl'occhi, inossidabile.



"Volevo raccontarti una storia e parlare d'amori veri e arcobaleni."



Mi rizzo dalla sedia impalato sull'attenti colla vodka in mano.



"A ben riflettere però quant'avevo scritto erano solo parole sprecate."



"Le parole non sono mai sprecate."



"In questo caso sì. Certi personaggi non meritano che l'oblio."



Levo al cielo il bicchiere.



"Brindo alla Coppia del Secolo che è e sarà sempre una bellissima idea."



T'alzi anche tu pronta a libare nei lieti calici.



"E brindo a te, Ilaria, la mia gattina sussiegosa e ribelle."



Inarchi un sopracciglio.



"Sussiegosa, Ratto?"



Mi scappa un sorriso.



"L'italiano letterario è lingua di gesso, Kitty. Prendilo com'è, aggettivi paludati compresi."



_____________



3 Sta per pizzangrillo. La traduzione in http://www.turbozaura.it/romanesco.asp.



4 L'Head Chef del Palazzetto.


A cena colla Kitty



(segue)



"'Indo svorto, Da'?"



La voce di Ciccio, Kamma per gl'amici più cari, mi riscuote dalla modalità provvisoria.



"Eh..."



Il suddetto si sistema sul naso gl'occhialetti da sole.



"T'ho fatto 'na domanda: 'indo svorto?"



Guardo fuori dal finestrino dell'Orsetto OM. Siamo in fondo a Via del Traforo, all'imbocco con Largo del Tritone.



"A destra. Pija pe Via Sistina e scendime all'Hotel Hassler."



Ciccio molla il freno, schiaccia la frizione, innesta la prima con gran tritio d'ingranaggi e preme sull'acceleratore.



"Agl'ordini, Da'."



Il camioncino imbocca Via Crispi singhiozzando. Poi acquista velocità in una nuvola di fumo nerastro. La gente sui marciapiedi ci fissa. L'Orsetto OM, col suo cassone pieno di carabattole, è un mezzo che difficilmente passa inosservato.



M'abbandono sul seggiolino sospirante e stanco. Mi sono svegliato all'alba stamani per battere insieme a Kamma le campagne intorno Cassino in cerca d'oggetti d'antiquariato. Vari i reperti che abbiamo raccolto: una radio militare d'epoca ignota 1, uno scrittoio tutto bucherellato, un casco da carrista, una lampada a carburo da ferroviere, un comò a cinque cassetti con piano in marmo, delle sedie Luigi Filippo, un grammofono taroccato, statue e statuette dalle fogge e dai materiali più diversi, un paio di lampadari con catena, cartoline, medaglie e altre minuterie, uno sbrecciatissimo tavolinetto di marmo stile impero 2 e una rugginosa borraccia della Whermacht.



"Ratto?"



"Oh..."



Il camioncino s'è fermato a motore acceso sul lato sinistro di Piazza Trinità dei Monti.



"Semo arivati."



Tendo la mano a Ciccio. Gliela stringo in una morsa di ferro.



"Thank you very much, France'. S'aribeccamo domani a Latina dar tatuatore. C'ho co lui qu'affaruccio in sospeso. T'aricordi?"



Kamma ride.



"Certo che sì, Da'."



Aggrotta per un attimo la fronte.



"Sei proprio convinto de porta' a termine l'operazione sorcio? So' cento piotte buttate, da retta."



Apro lo sportello e balzo dal seggiolino.



"Mannaggia la zozza, Ci', che se n'importa!"



Richiudo lo sportello.



"Mo' però nun me fa più perde tempo. È tardi e io so' atteso dall'acidella mia. Te saluto, France'."



Il suddetto aziona il clacson e rimette in marcia l'Orsetto OM nella solita nube di fumo.



"Te saluto pur io, Da', e te la sono."



Il camioncino scompare rombando per il Viale della Trinità dei Monti. Io giro sui tacchi e m'incammino verso l'albergo. Il portiere dell'Hotel Hassler, uno spilungone biondo in tight senza tuba, mi blocca il passo squadrandomi dall'alto in basso.



"Tu dove credi d'andare?"



Do un'occhiata alla mia mise da rigattiere pontino. Paio un barbone in effetti. Jeans lisi, Superga scalcagnate d'un vago color caki e maglietta sdrucita giallo canarino avente sul petto questa scritta cubitale in lettere verdi: LUA SPUPAZZA PUPI.



"Dappertutto e da nessuna parte, capitan fracassa."



Estraggo il portafogli dalla tasca dei pantaloni. Allungo al biondo un biglietto da cinquanta euro.



"Ed entrerò nella tua bicocca ultralusso a prescindere."



Infilo la porta dell'albergo, invado la hall e saluto le bambine della conciergerie per raggiungere la sala lounge del pianterreno. Mi guardo in giro. Ti scorgo. Sei rannicchiata su un divanetto, scalza. Hai le unghie dei piedi smaltate di nero e indossi un camicia di seta dello stesso colore su dei jeans attillatissimi griffati Cavalli. Hai le palpebre marcate dall'eye-liner e le labbra dipinte di rossetto e leggi assorta Revolver d'Isabella Santacroce.



"Hello, Kitty."



Alzi gl'occhi e mi fissi gelida come sempre.



"Sei in ritardo."



Fo spallucce.



"Ho trovato traffico sul raccordo anulare. Capita."



Posi il libro che ti teneva compagnia e scendi dal divanetto fluida ed elegante. Ti chini sul pavimento della sala lounge e raccogli da terra un borsellino nero a tracolla e un paio di lucide décolleté tacco d'acciaio su cui t'arrampichi alta e irresistibile.



"Andiamo a cena?"



Sorrido.



"Certo."



Socchiudi le palpebre.



"Dove?"



Indico un punto dietro di me oltre la hall.



"Proprio qui di fronte al Palazzetto."



_____________



1 Il tale che ce l'ha venduta affermava trattarsi d'un cimelio della Grande Guerra. Sì, come no.



2 Quell'affare pesava minimo un quintale. A trasportarlo mi si sono allungate le braccia. Li mortacci sua.


C'arisemo



I due post che seguiranno sono dedicati a Nannarella.



Una romana in terra straniera.



Mi prenderebbe volentieri a calci nel sedere e a scapaccioni.



Ma con tanto, tanto affetto.

mercoledì 17 dicembre 2008


..



"Io sono il derattizzatore."



Chi parla è l'ennesimo figuro che mi si para dinanzi.



"L'acchiappamosche."



Ha i capelli imbrigliati in una reticella verde che gli scende sull'omero sinistro in una gran nappa.



"Il fante di coppe e l'asso di bastoni."



Porta appeso sul collo un piccolo corno pieno di polvere nera e attaccate alla lucida cintura di cuoio due pistole a pietra focaia e un lungo spadone.



"Il Cavaliere di Ripafratta."



È in stivali e pantaloni gonfi e indossa un camiciotto bisognoso dell'opera d'una brava lavandaia.



"Già caporale dei Lancieri di Montecuccoli."



Imbraccia lo spadone. Me lo punta contro, minaccioso.



"E voglio il vostro sangue, pantegana d'acciaio."



Tiro un sospiro, rassegnato.



"Sprecate tempo, fiato ed energie, caporale. Io non posso essere ucciso. Sono solo parole."



Il figuro s'avventa su di me. Mena un affondo e vari fendenti. Niente. È come se avesse colpito l'aria.



"Io stesso cercai d'azzerarmi, sapete. Morii l'anno scorso con grande apparato di mezzi. Fu tutto inutile ahimé. Rimango sempre incollato qui."



Alzo le spalle, tristissimo.



"Sono creatura del non essere, caporale."



Indico al figuro collo spadone ancora sguainato i due uomini in giustacuore di pelle e cappello piumato che sono apparsi di fianco a me.



"E questi sono i miei drughi."



Uno dei due avanza d'un passo. Ha le labbra piegate in un sorriso beffardo.



"Il Caos."



L'altro si toglie il cappello e accenna un inchino. È un tipo panciuto dal viso rubizzo e gl'occhi allegri.



"Il Clitoride."



Tiro un secondo sospiro.



"Volete riprovare, caporale? Forse stavolta voi ed io saremo più fortunati."



Il figuro rinfodera lo spadone. Impugna le pistole e spara due colpi. Le palle di piombo mi passano attraverso senza sortire alcun effetto.



"Come volevasi dimostrare."



Guardo il cielo. Il sole è giunto a metà del suo cammino.



"Avete fame, caporale? Credo sia ora di desinare."



Il figuro ripone le pistole e mi fissa.



"In effetti sì, messer Ratto. Non tocco cibo dall'altro ieri. Sono sempre sbattuto a destra e a manca a combattere i mulini a vento."



Lo prendo sottobraccio con fare bonario e paterno.



"Vi comprendo più di quanto possiate immaginare, caporale."



I suoi occhi s'inchiodano ai miei.



"Davvero?"



Arriccio il naso. Il figuro puzza di stalla e sudore stantio.



"Certo."



Schiocco le dita. Improvviso compare il prode Vanny colla sua mongolfiera.



"Seguitemi, caporale. V'offro un volo sugl'abissi del Nulla e un pranzo luculliano."



Il figuro tentenna.



"Dov'è che si dovrebbe mangiare voi ed io? Mica l'ho capito."



Gli sorrido a centodue denti.



"Alle Palle Mozze, una simpatica taverna a cento leghe da qui. La conoscete, caporale?"



Il figuro scuote il capo.



"No."



Serro le palpebre, cogitabondo.



"Strano, caporale. Maya, la proprietaria, è cuoca valentissima. La sua trippa al sugo è piatto noto ovunque."



Afferro il figuro per lo spadone e lo trascino verso la mongolfiera.



"Let's go, corporal. I am hungry!"



Il prode Vanny c'attende, pronto a spiccare il decollo.


Rakkettoni



È l'ora della ricreazione. Sei all'aperto, nei giardini della scuola, e cianci colle tue compagnucce di classe, in attesa della ripresa delle lezioni. Intravedi il mio capo ricciuto tra le teste degl'altri bambini. Noti che porto con me un consunto tagliere di legno e una pallina di gomma rossa, di quelle che danno abbinate ai tamburelli da spiaggia. Sto sicuramente andando sullo spiazzo asfaltato dietro la palestra a giocare una bella partita di rakkettoni 1.



Interrompi l'ameno conversare colle tue amichette e ti precipiti nella mia direzione. Vuoi dirmene quattro, sul muso, per via di certi dissapori. La cosa, però, ti riesce impossibile. Cadi infatti nel Nulla e ti ritrovi, adulta, nel soggiorno di casa tua, seduta sul divano con in mano un mazzo di carciofi. Sbuffi arrabbiata. Guardi avanti, verso la tv. Noti un post-it giallo incollato a un angolo dello schermo. T'alzi in piedi e, col mazzo di carciofi sempre in mano, t'avvicini al Thomson per leggere quant'è scritto sul foglietto adesivo. "Non è che mi potresti acconciare una frittata con quegl'aggeggi puntuti di cui t'ho provvisto?" La mia calligrafia è un geroglifico confuso piuttosto difficile da decifrarsi. "Se credi t'aiuto io a pulirli. Ho già il coltello in bocca."



Sollevi lo sguardo al cielo e mugugni una delle tue solite esclamazioni. Vorresti restare impassibile ma non puoi trattenere un piccolo sorriso.



_____________



1 Trattasi d'un gioco simile alla pelota basca. Fu illustrato con dovizia di particolari in un post apparso a suo tempo nel forum ora soppresso del signor Platinette.

lunedì 15 dicembre 2008


Fedayn



"Sorce'?"



Smetto di rosicchiare il cappuccio della Bic, alzo gl'occhi dal quaderno dei pensierini e guardo verso la cattedra.



"Sì, signora maestra?"



"Hai studiato?"



Poso la biro sul banco. Infilo le dita nel naso e mi scaccolo.



"Un po'."



"Un po' quanto?"



"Un po'."



"Vie' qua che t'enterrogo."



Resto seduto al banco asserragliato dietro il quaderno, la Bic e un astuccio pieno di matite colorate.



"Vie' qua, ho detto! Te manno dar preside se no."



Tolgo le dita dal naso e le pulisco sul grembiule nero da scolaro elementare.



"Ho vergogna, signora maestra."



Socchiudi le palpebre e mi fissi severa.



"Nun te credo manco si me lo giuri, Sorce'."



"È vero invece."



Batti un pugno sulla cattedra.



"Mo' basta! Movite, vie' qua!"



Mi rizzo dalla sedia e guardo Cecchina, la pettegola che divide il banco con me.



"Non si potrebbe rinviare alle calende greche?"



T'adiri. Hai esaurito la pazienza.



"No!"



Allento il fiocco azzurro che ho annodato al collo e do un'occhiata intorno a me. Le mie compagnucce di classe mi fissano attente e curiose.



"Signora maestra..."



"La voi finì co sta manfrina? Vie' qua!"



Raggiungo la cattedra sconsolato. Mi metto al tuo fianco. Ti scruto. Indossi una camicetta bianca sotto un tailleur grigio acciaio e calzi un paio di décolleté nere che m'intrigano assai. Hai i capelli sul biondo arancio e profumi Chanel Numéro Cinq.



"Sorce'?"



"Sì, signora maestra?"



"Nun ce prova'. Niente zozzerie. Ce semo capiti?"



Annuisco col capo.



"Bravo. E mo' recitame 'a poesia de Fabrizi, quella ch'avevi per compito a casa. Voijo capì s'hai finarmente imparato a pronuncia' er romanesco."



Schiarisco la voce.



"Doppo che ho rinnegato pasta e pane, so' dieci giorni che nun calo, eppure resisto, soffro e seguito le cure... Me pare un anno e so' du settimane."



Declamo come Cicerone: agitando puntati al cielo gl'indici d'entrambe le mani.



"Nemmanco dormo più, le notti sane, pe damme er conciabocca a le torture, le passo a immagina' le svojature co la lingua de fora come un cane."



Rido.



"Ma vale poi la pena de soffrì lontano da 'na tavola e 'na sedia pensanno che se deve da morì?"



Mi tocco i gioielli di famiglia nel solito riflesso condizionato.



"Nun è pe fa' er fanatico romano, però de fronte a sto campa' d'inedia, meijo morì co la forchetta in mano!"



Mi guardi.



"Nun c'hai messo l'anima, Sorce'."



Stringo le spalle.



"È che m'ispirano altre cose."



"Sarebbe a dì?"



Estraggo di tasca la mia sciarpetta giallorossa e canto a squarciagola uno dei cori della Curva Sud.



"Sul muretto ce so' quindici assassini. Oh oh oh. Ch'hanno rotto sempre er culo ai celerini. Oh oh oh. Er muretto è circondato da P.S. Abbiam spaccato pure le loro teste. FEEEDAYN! Siam teppisti. FEEEDAYN! E terroristi!"



T'arrabbi. Balzi in piedi e mi torci un orecchio con tutta la forza che hai.



"Ah, si solo fossi tu madre..."


Un rogo mica da niente



MissLua a Steelrat mentr'erano di struscio per il centro di Milano.



Daje foco ar Cartone.


Acido



"Ti sei fatta?"



La domanda aleggia tra noi solida come un macigno.



"Rispondi."



Dapprima fissi la punta dei tuoi piedi nudi, barcollante sulle gambe. Poi alzi gl'occhi e mi guardi, stralunata e stordita.



"Che hai preso?"



T'avvedi che sono nudo. I miei vestiti sono un mucchio informe arenato davanti all'armadio.



"Non so cos'ho preso e non mi frega saperlo. Sto bene così."



M'insalivo una mano. Comincio a toccarmi.



"Che cazzo hai in mente?"



Taccio e sorrido, buio in viso.



"Ratto?"



M'avvicino, sempre silente. Ho il pene in piena erezione ormai.



"Io..."



Ti mollo uno schiaffo. Perdi l'equilibrio a causa del colpo. Rovini a terra battendo la nuca sul pavimento. Un tonfo sordo, molto coreografico.



"Ecco che cazzo avevo in mente."



T'afferro per le braccia e ti sollevo da terra.



"Vaffanculo, vaffanculo, vaffanculo!"



Mi tempesti il petto di pugni. Un ceffone ben calibrato sulla bocca pone termine a quel moto di ribellione uterina.



Senti sulla punta della lingua il sapore del sangue. Hai un labbro spaccato.



Torni alla carica. Altro schiaffo, altro dolore lancinante.



"Fanculo!"



T'afferro nuovamente per le braccia e ti butto bocconi sul letto. Scosto il filo delle tue mutandine nere. Ti prendo da dietro, con spinte rudi e brutali.



"Mi fai male."



Sei stretta e poco scivolosa. Mi conficco ancora di più, con un secco movimento delle reni.



"Ahi!"



M'incollo a te e accosto la mia bocca al tuo orecchio. Sei contornata dal solito profumo di vaniglia.



"L'unico che può scoparti il cervello sono io, non quel luridume chimico che ti spari a mezzo pasticca."



Esco da te. T'abbandono sul letto per recarmi in cucina.



Ti siedi sul bordo del materasso. Sei confusa, dolorante, adirata.



Ricompaio. Ho in mano un bicchiere riempito fino all'orlo d'un liquido arancione.



"Bevi."



Accetti il bicchiere. Sorseggi la bevanda un po' dubbiosa.



"Bleah! Che merda m'hai dato?"



Ti carezzo la bocca ferita. Rido.



"Piscia di sorcio 1, che altro se no?"



_____________



1 S'allude qui all'aperello del Ratto http://steelrat.splinder.com/post/7782637.

sabato 13 dicembre 2008


La Madonna Dei Fatti



Sono in soggiorno. Centellino un bicchiere di vodka e guardo fuori dalla finestra, lontano. Sono perso chissà dove, oltre la punta più alta di Monte Morello.



"Ora puoi venire a vedere, Ratto. Sono pronta."



Sei chiusa in camera mia. La tua voce giunge da lì, smorzata.



"Hyvä."



Abbandono il bicchiere sul tavolo del cucinotto. Infilo il corridoio. Apro la porta della mia stanza ed entro con piglio deciso.



Sei alta sui tacchi. Osservi la tua immagine riflessa nello specchio dell'anta di mezzo dell'armadio, le mani posate sui fianchi, gl'occhi neri di mascara e le labbra lucide di rossetto. Hai la testa cinta da una piccola corona d'argento e indossi un vestito aderente color seppia sopra le décolleté di camoscio nero che t'ho regalato. Quelle che s'allacciano ai calcagni, con un lungo nastro di raso rosso che arriva a imprigionare caviglie e polpacci.



Distogli il tuo sguardo dallo specchio e l'inchiodi al mio, gelida e distante.



"Ti piaccio?"



Una smorfia m'arriccia il naso.



"Kitty, ti mancherà sempre un orpello per essere una mistress perfetta."



T'accigli com'era inevitabile.



"Cosa?"



Sorrido.



"Un pipistrello addomesticato sulla spalla."



Ti sfili la corona. Me la scagli contro.



"Scemo."



Schivo il corpo contundente. Ti fisso dritto negl'occhi, col sorriso ancora sulle labbra.



"Bischero, non scemo."



Fo un passo avanti, t'afferro per la vita e stringo il tuo corpo al mio, colmo di desiderio.



"Questa battuta l'ho già sentita, Ratto."



M'avvinghio a te viepiù.



"Tu dici?"

mercoledì 29 ottobre 2008


Ontologia del Ratto



Sei arrampicata su un paio di scomodissime décolleté tacco dodici, immobile nella posizione di riposo dinanzi al mio lettuccio da bambine. Sono due ore che te ne stai così, cristallizzata come una statua, lo sguardo fisso nello specchio del mio armadio a tre ante. Il dolore che t'attanaglia piedi, polpacci, spalle e braccia s'è fatto insopportabile. Tiri un sospiro.



"Io, chi sono io, Ricciolina?"



È  la mia voce che parla. Ha il tono di sempre: gelido e dottorale.



"Rispondi. Te ne do il permesso."



Sono dietro di te, perso chissà dove nella stanza.



"Il Drago."



Odi i miei passi pesanti. S'avvicinano.



"Tu, cosa sei tu, Ricciolina?"



Inghiotti a vuoto.



"Un angelo, un angelo nero."



Ti sono accanto adesso. Vorresti girare la testa ma non osi. Le conseguenze per quest'atto di disobbedienza sarebbero terribili.



"Tu, cos'altro sei tu, Ricciolina?"



Socchiudi gl'occhi. Tiri un altro sospiro.



"Una bambola di carne su cui incidere ghirigori di sangue."



Mi piazzo davanti a te. Sono in anfibi e sui pantaloni della mimetica indosso una maglietta verde oliva colle maniche strappate.



"A chi appartiene la tua volontà?", ti domando sibilando tra i denti.



"A te solamente, Ratto."



Ti schiaffeggio la bocca, cattivo.



"Drago, non Ratto. Capito, Ricciolina?"



"Signorsì."



"Bene."



Prendo il guinzaglio del collare che porti intorno al collo.



"A terra", ordino.



Ti metti gattoni sul pavimento. Mi godo la vista del tuo sedere nudo.



"Drago?"



Hai sollevato lo sguardo verso di me. I tuoi occhi color nocciola dardeggiano.



"Mica vorresti trascinarmi in cucina a gustare una delle tue formidabili merende?"



Ti guardo scuro in viso.



"No."



Ti schiaccio una mano col tacco del mio anfibio sinistro.



"Tu ed io, Ricciolina, siamo parole, entità inesistenti, cartone."



Il dolore che fluisce dentro di te è un pungolo improvviso e lancinante. Ti sei bagnata quasi senza accorgertene.



"Scivoleremo quindi nel più profondo degl'abissi del Nulla."



Do un perentorio strattone al guinzaglio che ti tiene legata a me.



"Dove ciò che è non è e ciò che non è è."

lunedì 27 ottobre 2008


Red shoes



Sono dentro di te. Spingo più forte che posso. M'afferri la nuca. Cerchi la mia bocca. La trovi. Ci baciamo, avidi l'una dell'altro.



Ho il fiato corto. Mi scosto quindi da te per riempire i polmoni d'aria e pompare ancora più forte. Tu scivoli nell'inebriante abbraccio dell'ennesimo orgasmo.



Esco da te. Mi metto ginocchioni tra le tue cosce aperte. Ho sempre il fiato corto.



"Toglile", ti fo ansimando.



Aggrotti la fronte.



"Eh..."



"Il paio di scarpette rosse che indossi. Toglile."



Mi fissi.



"Perché mai?"



"Voglio bagnarti i piedi."



Inarchi un sopracciglio.



"Con cosa?"



Lancio un'occhiata al mio pene turgido e duro.



"Indovina."



Scuoti la testa.



"Porco."



Rido.



"Lapalisse."


E...



Sono seduto a uno dei tavoli del bistrot panoramico della Rinascente di Milano e sorseggio una Becks godendomi la vista delle guglie del Duomo. Non uso bicchiere. Bevo a canna come mio solito.



Giro lo sguardo verso la porta che collega l'attico della Rinascente al terrazzo del bistrot. Ti scorgo. Indossi un giubbino di pelle nera sopra un miniabito dello stesso colore. Hai le gambe nude e calzi un paio di décolleté tacco dodici che sono tutto un programma. Non porti gioielli e nel palmo della mano tieni stretta una pochette Yves Saint Laurent piuttosto sfiziosa.



Poso la Becks. Ti lancio un sorriso.



"Hai davvero un culo stupendo, Maya. Sembra scolpito nel marmo."



Sgrani gl'occhi.



"Uh... Grazie, Rat."



"Accomodati, dai."



Ti siedi dirimpetto a me accavallando le cosce. Te le sbircio sottecchi.



"Gradisci un drink? Che so, un chinotto, una spuma o una limonata all'arancia?"



Ridi.



"No. Sono a posto così."



"Contenta tu, contento anch'io."



Incollo la Becks alle labbra. Tracanno un bel sorso di birra.



"Permetti una domanda, Steel?"



Poso nuovamente la Becks sul tavolo e m'asciugo la bocca col dorso della mano.



"Certo, Maya. Stura le trombe. Son tutt'orecchie."



"Perché m'hai trascinato fin quassù? Non è che avessi questa gran voglia di vederti."



"Urgeva una comunicazione di servizio."



"Cioè?"



"Volevo dirti che i tuoi commenti a quanto scrivo su ManetteMatte son sempre bene accetti ma non ho bisogno di consigli su come gestire una Ricciolina. Penso di potermela cavare da solo. Eppoi..."



Riincollo la Becks alle labbra per gustarmi con molta calma le ultime gocce di birra.



"Eppoi che, Rat?"



Finisco la Becks e l'abbandono sconsolato sul tavolo.



"Eppoi tutte quelle raffinatezze a cui tu mi vorresti sottoporre..."



Frugo nella tasca sinistra dei jeans per estrarne un fazzoletto immacolato.



"Quali raffinatezze?"



"Lottare con me, staccarmi il cazzo a morsi, rompere un bicchiere per tagliuzzarmi i testicoli..."



Porto il fazzoletto al naso. Soffio energicamente.



"Dicevo... Quelle robine lì non sarebbe meglio praticarle dal vivo, fuori da questo teatrino dell'assurdo?"



Rimetto il fazzoletto in tasca e rutteggio. Colpa della troppa birra ingerita.



"Sai dove trovarmi, Maya. Combinare un incontro di petting boxe tra te e me non sarebbe impresa difficilissima."



Altro rutto.



"Io ti leggo. Però non mi sfriculli granché. Le parole sono cartone, aria fritta, fumo."



Vorresti replicare ma non te ne do la possibilità. Mi sono atomizzato svanendo nel nulla da buon azzerato.



"Che sorcio che sei", sbotti irata.



Uno squillino. T'è arrivato un sms sul cellulare. Peschi il telefonino dal fondo della pochette e apri l'icona dei messaggi ricevuti. Guardi il display.



"TUTTI I MIEI RACCONTI - sta scritto in lettere maiuscole - HANNO UNA NOTA STONATA. VEZZO DA PANTEGHE D'ACCIAIO."



Nuovo squillino. Secondo sms.



"IO LE DONNE LE POSSIEDO SEMPRE CON ESTREMA GENTILEZZA A MENO CHE NON VOGLIANO SODOMIZZARMI CON DILDI E ALTRI AGGEGGI CONSIMILI. IN TAL CASO PER LE SUDDETTE SON VERAMENTE DOLORI."



Ennesimo squillino. Terzo sms cubitale.



"NON COMMETTERE L'ERRORE DI GIUDICARMI SULLA BASE DI QUELLO CHE LEGGI. IO SON MOLTO DI PIU' DI QUATTRO PAROLE SCRITTE PER REGALARTI UN SORRISO. MOZZIKARELLOOOOOOOOO."



Serri le palpebre e arricci il naso. Hai cominciato a capirmi. Forse.

domenica 26 ottobre 2008


Domhnach na Fola



Bevo l'ultimo sorso di vodka e scaglio il bicchiere sul pavimento frantumandolo in mille pezzi. Mi chino sulle ginocchia. Frugo tra i rimasugli di vetro e raccolgo la scheggia più acuminata.



Mi rizzo in piedi. Inspiro profondamente e ti guardo. Sei stesa supina sul mio candido giaciglio, gl'occhi bendati e le mani legate alla testiera del letto. Sorrido.



"Ratto..."



"Zitta, Ricciolina, zitta."



Mi siedo sul bordo del materasso. Studio ogni curva del tuo corpo nudo, centimetro dopo centimetro.



"Ratto..."



"Silenzio!"



T'afferro una coscia e t'impongo d'aprire le gambe. Hai la vagina umida e socchiusa. Comincio a titillarti il clitoride coll'indice della mano che non impugna il frammento di vetro.



"Infliggere dolore mi diverte ma non mi porta all'eccitazione."



La mia voce ha assunto un tono gelido e dottorale come sempre accade quando pontifico.



"L'uso improprio delle armi da sparo mi da invece una bella scarica d'adrenalina. Se hai letto "La carne e l'acciaio" e "Il rapportino" sai a cosa alludo."



Smetto di masturbarti.



"Anche la vista del sangue ha su di me effetti non trascurabili."



Incido col vetro l'interno della tua coscia sinistra disegnando una "d" rosso porpora.



"Il Drago esiste ancora nonostante non indossi più le stellette."



Sono diventato duro. Mi disfo del vetro insanguinato.



"Basta concionare, Ricciolina."



M'arrampico su di te.



"Il tempo delle parole è finito."



Ti bacio avidamente. Poi ti possiedo con estrema gentilezza.


No



"No."



Socchiudo gl'occhi.



"No?"



"No."



Salgo su di te. T'inchiodo al letto col peso del mio corpo e ti prendo per il collo. Stringo.



"Apri le cosce."



Mi tempesti di pugni. Vana resistenza la tua. Io non cedo.



"Ricciolina..."



Allento la presa.



"Deciditi."



"Vaffanculo", sibili tra un ansimo e l'altro.



Torno a stringere.



"Questa sciarada comincia ad annoiarmi."



Hai i polmoni in deficit d'ossigeno e la vista annebbiata. Sei prossima  a perdere i sensi.



"Obbedisci."



Socchiudi le gambe.



"Finalmente..."



Ti lascio libera di respirare e, puntate le bracia sul materasso, ti penetro con veemenza e spingo. Non riesco però ad eccitarmi. Manca ancora qualcosa.



Esco da te e scendo dal letto. T'indico collo sguardo il mio pene eretto.



"Bacialo."



Scuoti la testa. M'avvicino a dove sei sdraiata. T'afferro per i capelli e ti costringo ad alzarti. Siamo l'uno di fronte all'altra adesso, naso contro naso.



"Sei un gran bastardo", sussurri con voce arrocata.



Non ribatto. Calo invece sulla tua bocca. Ti prendo il labbro inferiore tra i denti e ne mordo la carne tenera e succosa.



"Animale..."



Mi scosto da te e t'afferro con forza per le spalle. T'impongo d'accucciarti tra le mie cosce.



"Mangiami."



Protendo il bacino verso di te e m'offro in pasto. Tu sollevi il capo e mi fissi. Hai negl'occhi una luce strana.



"Potrei staccarti il cazzo con un morso se volessi. Lo sai vero?"



Sogghigno.



"Chi se ne frega."



Ti prendo la nuca con entrambe le mani e ti costringo a riempirti di me. Cominci a succhiare. Appena sento i tuoi denti, un fremito m'attraversa la schiena.